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Al Corsport il professor Barbano spiega la pandemia al Cts e al virologo Galli

“Chi tocca il calcio, muore” è il leit-motiv di una serie di articoli che fanno a pezzi chiunque osi mettere in discussione il valore culturale e imprenditoriale del pallone

Al Corsport il professor Barbano spiega la pandemia al Cts e al virologo Galli

Il titolo è: “Scuola e calcio perché nemici?”. Che serve deliziosamente a introdurci nell’editoriale di Alessandro Barbano sul Corriere dello Sport di oggi, nel quale mele e pere (stadi e scuole) vengono sommate artificiosamente di sponda su un giudizio di Massimo Galli, responsabile di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano: «La scuola deve riaprire, il calcio no, non è una priorità».

Apriti cielo (almeno lui, che ancora può). Barbano battezza Galli alla stregua degli – virgolette sue – “apostoli dell’emergenza”. Le cui “perle” suonano evidentemente blasfeme per il suo culto: la religione del libero tifoso in libero stadio. Chi propugna la prudenza diventa un “professionista del lockdown”. Il virus, la pandemia, i contagi, non vengono mai citati. Barbano parla d’altro: industria. Industria culturale, per di più. Che non si dica che parliamo solo del vil danaro. Barbano, bontà sua, ammette: “Nessuno contesta che la scuola sia per un Paese l’attività più importante”.

Al tal riguardo il coordinatore del comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo, viene citato come avversario. Miozzo – virgolette sempre del Corriere dello Sport – “ci aveva offerto l’altro ieri un esempio di pensiero arrogante”, “a riprova di come la sapienza scientifica non risparmia le peggiori figure, quando ci si avventura oltre il recinto delle proprie competenze”.

Barbano però ce l’ha con Galli, non perdiamo il filo.

“Quale evidenza scientifica dimostra che riaprire contemporaneamente scuole e stadi sia pericoloso? Galli non lo dice perché non lo sa, si muove a tentoni nel buio di conoscenze e competenze organizzative, e non solo virologiche, che non ha”.

Di più:

“Qualcuno tra i ministri che lo hanno assoldato e reso famoso vuole spiegargli che è meglio se parla di ciò che ha studiato?”.

Il problema vero è che Galli osa affermare che «Il calcio è uno spettacolo non essenziale che può essere fruito anche da casa». E per il Corriere dello Sport questa è una trincea che resisteva persino nei mesi della panificazione compulsiva, dell’inno al balcone alle 18, e dei camion dell’Esercito che tornavano da Bergamo pieni di cadaveri. Il calcio non si tocca. 

“Il calcio è la più grande passione per milioni di italiani, trasversale a tutte le età, le culture e il censo. Per molti è l’unica forma di partecipazione alla vita pubblica. Ci sono cittadini che non studiano, non leggono libri, non frequentano cinema e teatri, ma attraverso le informazioni sul calcio a loro modo accedono a un universo culturale, e si sentono parte di una comunità nazionale. Lo sa questo, Galli?”

Probabilmente no, Galli non lo sa. C’è da dire a sua parziale discolpa che l’immediatezza di un’informazione del genere – gente che non legge, non studia, non va al cinema né a teatro, ma che “accede ad un universo culturale attraverso le informazioni sul calcio”  – non è proprio scontata.

La battaglia però è sul fronte economico. Non si scappa. Scrive Barbano:

“Stanno venendo meno le altre fonti di sostentamento del sistema, e cioè gli sponsor e i diritti televisivi. I primi hanno preso a girare al largo dai club. Non solo perché i brand non possono essere più veicolati tra il pubblico, ma perché la partita è per gli sponsor l’occasione per invitare e tessere relazioni istituzionali e commerciali con i loro clienti. Senza ospitality, le imprese non hanno alcun interesse a investire in una squadra”.

Il grosso problema delle ospitality sbarrate: gli sponsor non sanno più come blandire il cliente, non potendolo portare allo stadio. E mo come si tessono le relazioni istituzionali e commerciali? Il reticolato logico va a cascata verso la morte del calcio:

“In queste condizioni presto il professor Galli non potrà, tornando a casa dopo le sue performance televisive e le sue interviste ai quotidiani, assistere alle partite in tivù, perché i suoi divieti stanno spegnendo il calcio. Glielo spiega qualcuno?”.

Barbano allora chiede retoricamente a Galli “come mai in Germania le scuole riaprono insieme con gli stadi”. In Germania in realtà il governo (la Cancelliera Merkel con i 16 primi ministri dei Laender) ha stabilito che gli stadi resteranno chiusi almeno fino al 31 ottobre. E lo hanno fatti forti del consenso popolare: i tedeschi non hanno affatto gradito i privilegi del calcio. L’indirizzo di carattere generale è stato accolto senza isterie dai club (non parliamo dei media), che da buoni tedeschi hanno cominciato a organizzarsi per bene in attesa che la situazione epidemiologica migliori.

Hanno questo vizio, i tedeschi, di essere pragmatici: se c’è un virus, e la gente rischia di morire, il calcio viene poi. Anche se è un’industria. Chi non legge, non studia, non va al cinema e non va a teatro, se ne farà una ragione. Potrà ugualmente accedere all’ “universo culturale” di riferimento: le informazioni sul calcio non gli mancheranno, pur guardando la partita in tv.

Barbano chiosa:

“In un Paese chiamato a ripartire e a convivere con il virus con prudenza, competenza e abilità organizzativa, c’è una cosa che più di tutte è superflua: la saccenza degli pseudo-esperti”.

Ineccepibile.

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