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Gattuso ha costruito un Napoli che ha paura di cambiare

Il Napoli non è riuscito ad andare oltre se stesso. Come da sempre gli capita. È andato a sbattere contro il Barcellona che lo ha costretto a fare cross. Servono soluzioni tattiche diverse

Gattuso ha costruito un Napoli che ha paura di cambiare

I limiti del Napoli, non solo del Napoli di Gattuso

Il Napoli è uscito dalla Champions League al termine di due partite in cui ha mostrato un limite chiaro: l’incapacità di approfittare delle occasioni che gli sono state concesse. È un discorso che vale in fase offensiva, o per meglio dire conclusiva, in relazione ai gol non segnati, soprattutto nel match d’andata; allo stesso tempo, la squadra di Gattuso ha commesso errori difensivi – soprattutto individuali – che hanno pregiudicato in maniera definitiva il risultato, e quindi l’esito della qualificazione.

Il passaggio del turno non è stato mai davvero in bilico durante il match del Camp Nou. Dopo i primi minuti approcciati bene dal Napoli, il gol (controverso) di Lenglet ha mandato completamente in confusione gli azzurri. È il limite storico di questa squadra: quando la pressione si alza, la qualità delle giocate cala. A cascata, cala inevitabilmente anche l’efficacia del sistema tattico. È una cosa che succede da molti anni, e che non ha permesso a questa rosa – con Benítez fino a Gattuso, passando per Sarri e Ancelotti – di andare oltre dei risultati medio-borghesi. Oppure platonici.

Come se non contasse la tattica, e infatti conta fino a un certo punto: anche ieri sera – esattamente come avvenuto negli anni precedenti – il Napoli è stato diligente in campo, ha rispettato il piano-partita predisposto dall’allenatore; ha mostrato anche una certa personalità, ha costretto il Barcellona a rimanere dietro per alcuni tratti. Solo che è mancata la qualità perché questo vantaggio – momentaneo, e solo territoriale – si traducesse in grandi occasioni da gol. In più, quelle poche che sono arrivate non sono state sfruttate. Dall’altra parte del campo, invece, le folate – rare ma di enorme classe – dei giocatori catalani hanno incontrato un’opposizione maldestra, in certi casi. È bastato poco, alla squadra di Setién, per segnare tre gol validi – considerando valido il secondo gol di Messi, annullato misteriosamente.

Come è andata la partita

I momenti che ci hanno ispirato certe letture, certe conclusioni, sono quelli in cui si è decisa la partita. Che ha avuto un andamento tattico semplice, prevedibile: Napoli col 4-3-3 “istituzionale” che diventa 4-5-1 in fase difensiva; Barcellona con un modulo più spurio, più flessibile, per concedere la maggior libertà possibile a Leo Messi. L’argentino si è mosso lungo l’intero fronte d’attacco, ha scambiato la posizione un milione di volte con Suárez e Griezmann, ha giocato per 71 volte il pallone, praticamente ha agito a tutto campo.

Tutti i palloni giocati da Messi, in un Barcellona che in questo grafico attacca da sinistra verso destra. Il ruolo dell’argentino non c’è o non è definibile, semplicemente.

Come detto, il Napoli si è presentato al Camp Nou nella sua versione classica. In fase di costruzione, Gattuso ha scelto di utilizzare soprattutto Fabián Ruiz come scarico per i centrali e per i terzini, una dinamica che abbiamo già visto in molte gare dopo il lockdown. Non a caso, il centrocampista spagnolo ha giocato 79 volte il pallone, primato per i giocatori azzurri dal centrocampo in su. La stessa statistica relativa a Demme, in campo per 45 minuti, è significativamente più bassa: 34 palloni giocati per il tedesco, proiezione di 68 su 90 minuti. Pochi, considerando il suo ruolo in cabina di regia.

Le rotazioni a centrocampo portano Fabián Ruiz a muoversi in posizione di pivote davanti alla difesa. È successo molte volte nel corso della gara.

Nella ripresa, l’ingresso di Lobotka (40 palloni giocati) ha alzato la qualità nella distribuzione e ha permesso a Fabián Ruiz di muoversi di più in avanti – e infatti il Napoli ha stazionato di più nella metà campo avversaria. Ma a quel punto la partita era già incanalata. Per non dire segnata. Come detto sopra, i momenti decisivi sono stati il palo (esterno) colpito da Mertens in apertura e le tre reti del Barça, nate da un calcio d’angolo, da una grande azione di Messi e da un errore da matita blu di Koulibaly. Nel mezzo, le due squadre in campo hanno agito in maniera similare ed efficace dal punto di vista difensivo: alla fine, infatti, il Barcellona ha messo insieme appena 7 conclusioni tentate verso la porta di Ospina.

La differenza tra le due squadre la fa solo Messi, non coinvolto nella fase di non possesso. Per il resto, Barcellona e Napoli difendono tenendo tutti gli uomini dietro la palla, senza rinunciare alla linea difensiva abbastanza alta.

In una situazione come questa, la qualità dei singoli doveva fare la differenza. E l’ha fatta. In positivo per il Barcellona, in negativo per il Napoli. Le (poche) azioni offensive e rapide degli uomini di Setién sono riuscite a mettere in difficoltà la squadra di Gattuso, che ha pagato prestazioni individuali molto negative – Koulibaly e Zielinski su tutti – e non è andata oltre 3 tiri in porta su 18 tentativi; di questi, 10 sono stati respinti. Il dato più interessante è però quello dei cross tentati: nonostante la scelta per il ruolo di prima punta sia ricaduta su Dries Mertens, il Napoli ha tentato per 19 volte di servire il pallone a centro area dalle fasce.

In realtà quest’ultima frase va formulata meglio, anche alla luce del frame che vediamo sopra: il Napoli è stato costretto dal Barcellona a cercare il pallone a centro area dalle fasce. Ai catalani è bastato chiudere gli spazi centrali per non correre reali pericoli. Del resto, come detto, il centravanti del Napoli era Mertens, un calciatore di che non raggiunge i 170 centimetri d’altezza ed era schiacciato tra Piqué (194 cm) e Lenglet (186 cm).

Difficile pensare che i cross potessero essere una strategia vincente, in un contesto del genere. Era successa la stessa cosa anche nel match d’andata: allora, però, fu il Napoli a forzare sugli esterni il Barcellona, a rendere quasi inoffensivi gli uomini di Setién. Nonostante tutto, il Barça riuscì a portare a casa un risultato positivo grazie a una grande azione corale fatta di grandi intuizioni individuali. Quella grande azione che al Napoli, ieri sera, non è riuscita. E che invece è riuscita a Messi, abile ma anche fortunato in occasione della sua rete.

Come si vede in questo video, il Napoli non difende male. Messi, infatti, riceve il pallone in isolamento sulla destra e su di lui ci sono Insigne e Mario Rui; Koulibaly arriva in seconda battuta, ma l’argentino vince il rimpallo; a quel punto, la compattezza delle linee della squadra di Gattuso permette a Manolas di accorciare velocemente sul capitano del Barça; solo che il greco viene letteralmente scherzato con una finta splendida, velocissima. Tiro a giro, palla in buca d’angolo.

Qualità, prevedibilità e alternative

Il video che abbiamo visto sopra presenta, racconta l’alternativa del Barcellona quando le cose vanno male dal punto di vista tattico. Lo è stata ieri sera, lo è da anni. In realtà, il discorso è più profondo e sfumato: un giocatore come Messi ti consente di vincere le gare grazie a una o due giocate, ma allo stesso tempo rende molto più efficace qualunque sistema tattico. In passato, altri allenatori della squadra catalana hanno avuto a disposizione anche Xavi e Iniesta (e Dani Alves e tanti altri), e allora hanno potuto costruire, a partire dalle loro qualità, un piano di gioco estremamente ambizioso, che li portava a dominare quasi tutte le partite. Quando questo piano non funzionava, o non funzionava del tutto, Messi e/o altri fuoriclasse hanno risolto i problemi.

Da anni, il Napoli ha un valore individuale di fascia medio-alta nel calcio europeo. Può aspirare a vincere partite di grande prestigio – contro squadre come Real Madrid, Barcellona, Liverpool, Manchester City, Juventus, Psg – solo se riesce a giocare in maniera tatticamente perfetta, se i giocatori rimangono concentrati in fase offensiva e sfruttano le poche occasioni concesse da avversari così forti. Magari in alcuni casi l’adozione di certi schemi e/o di certi meccanismi tattici può risultare più efficace – con Sarri, per esempio, il Napoli ha centrato il primo posto nel girone di Champions 2016/17, mentre con Ancelotti gli azzurri hanno battuto due volte il Liverpool – e moltiplicare il valore dei singoli, ma le lacune sono destinate a venire fuori. Soprattutto quando i tentativi offensivi risultano ripetitivi, poco vari, come per il Napoli di Gattuso.

Nel campetto in alto, la distribuzione spaziale delle azioni del Napoli: praticamente la squadra di Gattuso ha costruito 8 azioni su 10 sulle corsie laterali. Sopra, invece, tutti i passaggi chiave degli azzurri: uno dalla propria trequarti, 2 dalla zona centrale e 9 dalle fasce.

È l’unica vera critica che si può muovere alla squadra azzurra. Anche ieri sera, il Napoli non è riuscito ad andare oltre sé stesso. A livello tecnico, ma anche come tentativi tattici. Il cambio Lobotka/Demme all’intervallo ha dato maggior qualità alla manovra, ma dal centrocampo in su gli uomini di Gattuso sono stati molto prevedibili. Prima e dopo questa sostituzione. Gli azzurri non hanno cercato di attuare delle azioni alternative rispetto ai giochi di posizione sulle fasce, la soluzione più utilizzata – come risulta evidente dai due grafici appena sopra. E inoltre gli ingressi di giocatori con caratteristiche diverse, Lozano e Milik, sono arrivati dopo il 70esimo minuto.

È come se il tecnico calabrese avesse accettato senza ribattere il contesto impostogli dal Barça. In più ha anche escluso gli unici giocatori in grado di sfruttare, almeno potenzialmente, i cross dagli esterni – parliamo di Milik ma anche di Llorente. Ancora, per supportare questa tesi: non a caso, viene da dire, il rigore trasformato da Insigne nasce da un’azione gestita in modo diverso, da un tocco rasoterra di Fabián Ruiz per Mertens. Il belga, come si vede dall’immagine sotto, è l’unico giocatore ben dentro l’area di rigore mentre Fabián gestisce il possesso; quando viene servito, anticipa il suo marcatore mentre svuota l’area. Se Fabián non avesse tentato un assist così ambizioso, riaprendo magari di nuovo sulla destra come ha fatto tante altre volte durante la partita, il Napoli sarebbe stato ugualmente pericoloso?

Il consueto scambio di pallone e posizioni ha portato Di Lorenzo a sovrapporsi internamente, mentre Callejón larghissimo a destra e Fabián Ruiz consolida il possesso. Lo spagnolo cerca la giocata più difficile e penetra tra due avversari, Mertens accorcerà e sarà colpito da dietro da un maldestro Rakitic.

Non potremo mai avere la controprova, questo è ovvio. Ma l’inserimento di Milik o di Llorente – dall’inizio o magari prima del 70esimo minuto – avrebbe potuto dare qualcosa in più a un Napoli costretto a giocare sugli esterni. A un Napoli che ha scelto di non chiudersi come fatto nel match d’andata, spinto anche dalla necessità di fare risultato; che ha provato a giocare di più ma non è riuscito a essere imprevedibile. Lo stesso appunto fatto per lo slot di prima punta si può muovere per quello di Callejón: con un giocatore più creativo (Politano) o con un esterno più bravo a giocare sul lungo (Lozano) al posto dello spagnolo, il Napoli avrebbe potuto avere maggiori chance? Domanda senza risposta. Di certo, però, la squadra azzurra avrebbe dovuto cambiare modo di giocare, di approcciare la manovra d’attacco.

Conclusioni

Il punto è proprio questo: per il momento, Gattuso ha costruito una squadra che ha paura di cambiare. Che non baratta e non mette in discussione le sue certezze. Alcune di queste sono sicuramente valide, anche perché aderiscono perfettamente alle caratteristiche di certi giocatori in rosa. L’abbiamo detto e ridetto più volte in quest’analisi: il Napoli, ieri sera, ha difeso bene, se non benissimo, di squadra. E poi ha vinto la Coppa Italia – battendo Lazio, Inter e Juventus – con una fase passiva compatta e illuminata, con ripartenze veloci e senza rinunciare mai costruzione dal basso. Insomma, è una squadra che ha mostrato di avere un’identità chiara.

Però manca qualcosa in avanti, è mancato in certe partite, ed è mancato anche ieri sera. È come se il lavoro del tecnico calabrese fosse arrivato fino a un certo punto e poi si fosse bloccato. Anzi, arenato. Certo, le condizioni e le tempistiche di lavoro e di gioco sono state a dir poco strambe, e i giocatori in rosa erano e restano quelli. Ma, in vista del futuro, c’è bisogno che il Napoli ampli le proprie possibilità. Le proprie conoscenze. Attraverso il mercato – Osimhen è il primo tassello –  e lo studio e l’attuazione di dinamiche tattiche diverse. O meglio: diversificate.

Magari questa operazione non servirebbe e non servirà a battere il Barcellona, perché la qualità farà ancora la differenza. Ma almeno gli azzurri proverebbero a riparare agli errori individuali dei propri difensori, o a pareggiare le magie di Messi, senza ripetere le stesse azioni, gli stessi (infruttuosi) tentativi che abbiamo visto contro i catalani, contro l’Inter, contro il Parma.

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