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Bielsa è il Padre Pio del calcio nostalgico. Va al campo a piedi. «Per vivere, gli bastano due stanze»

Ha vendicato Clough in quello che fu il maledetto United. Ogni mattina una camminata di 50 minuti. La Serie A lo ha perso per colpa di Lotito

Bielsa è il Padre Pio del calcio nostalgico. Va al campo a piedi. «Per vivere, gli bastano due stanze»

L’aneddotica di Marcelo Bielsa torna ciclicamente a farsi romanzo. Una carriera appuntata in post-it: l’uomo in tuta, che cammina per 50 minuti a piedi fino al campo d’allenamento. “L’allenatore degli allenatori” che usa 28 moduli è un feticcio di nicchia: tutti i colleghi, da Guardiola in giù ne parlano sempre come di un maestro. Mentre loro vincono, lui perde. Ma l’epica non si affanna a rincorrere concetti così volgari e terreni come “il risultato”. Bielsa è su un altro pianeta: sceglie le squadre arrugginite dalla storia perché lui allena l’identità. Non è nemmeno geograficamente provincia: il suo curriculum è una contorsione girovaga, alla ricerca di nobiltà decaduta, vecchio calcio da restaurare. Impronte. L’ultima si chiama Leeds, ed è la ragione per cui è di nuovo in prima pagina su tutti i giornali del mondo: una promozione dalla Championship alla Premier, se è firmata Bielsa, fa leggenda a sé.

Il Leeds. Come prima Newell, Vélez, Athletic di Bilbao, Olympique Marsiglia. Per lui Rosario è la città, la casa, ma anche una carriera religiosa da sgranare. E’ il tecnico della vocazione: la sua, e quella che ispira negli altri. La sua eredità vale molto di più degli intangibili risultati sportivi: l’ha detto Guardiola, tanto per.

Campione due volte col Newell, e poi col Vélez nel ’98, l’oro olimpico con la Nazionale argentina nel 2004. La maschera del “perdente” che lui stesso si infila, senza vergogna, deriva direttamente dall’incredibile finale contro il Brasile della Coppa America del 2004, persa che era già vinta. E passa per la drammatica eliminazione ai gironi nel Mondiale nippo-coreano dell’Argentina più forte di sempre. Bielsa continua a rispondere in conferenza stampa su quell’evento. Sono passati 18 anni. L’elaborazione del lutto è una teoria friabile.

A Bilbao nel 2012 Bielsa porta l’Athletic Bilbao in finale di Europa League, e la perde contro l’Atlético Madrid di Simeone. A Marsiglia, l’Olympique perde il titolo nel finale di campionato dopo averlo dominato. Bielsa però è un monumento. E’ trascendente. È il Padre Pio del calcio nostalgico.

Lo chiamano “el Loco” ma quello è un soprannome blasfemo. Facile, superficiale, non avete capito niente. Bielsa è Bielsa. Una volta acclarato questo, la scelta di Leeds, serie b inglese, è fisiologica. L’ultimo club campione della First Division, prima della rivoluzione autonomista della Premier League. Quasi fallito nel 2007, e allo sprofondo nella League One, la nostra serie c. Il maledetto United, la squadra dei bastardi che menano e che fecero fuori Clough, è storia lontana. Lo ha vendicato.

Poi al Leeds sono arrivati gli italiani. Prima Massimo Cellino (che esporta il vizietto dell’esonero: 6 manager in 2 anni). Poi Andrea Radrizzani che rileva l’intero pacchetto nel 2017. Radrizzani fonda una media company, la MP & Silva, che fornisce servizi nella gestione dei diritti sportivi di vari eventi collegati al calcio, alla Formula 1 e agli sport americani. La vende ai cinesi per 1 miliardo di dollari, e resta nel giro dei diritti tv con la Aser ed Eleven Sports. È stato uno degli advisor per Suning nel processo di acquisizione dell’Inter, nel 2016. E per poco non strappò il Bari dalle mani di Aurelio De Laurentiis.

Bielsa è arrivato al Leeds un secondo prima di finire nella Liga MX messicana, con una operazione lampo che ha ricordato per opposto il grande rifiuto che rifilò alla Lazio con i contratti già firmati. Quello dello strepitoso comunicato nel quale cazziava Lotito perché non aveva ceduto 18 giocatori come richiesto, e tantomeno acquistato i nomi della sua lista della spesa. I media italiani lo piangono ancora.

Leeds è diventato luogo di culto. Lui, oggetto di venerazione. L’anno scorso hanno buttato una promozione praticamente fatta raccogliendo un punto nelle ultime quattro partite contro i dieci dello Sheffield United. Sorpasso, play off, niente da fare. Circostanza condita dal tipico tocco-Bielsa: ordina alla sua squadra di far segnare l’Aston Villa per rimediare al gol segnato mentre un giocatore avversario era a terra. Una cosa la vince: il premio fair play della Fifa.

La promozione in Premier League è il passo successivo. Ma serve solo come scusa per raccontare la sua vita inglese. Bielsa, l’avrete capito, è letteratura. E’ un personaggio olistico: è un universo pieno di cose, tutte collegate. L’aneddotica, come dicevamo, si gonfia a dismisura. Dalla sua casa di Rosario nella quale aveva costruito una struttura con quattro tv impilate una sull’altra per quadruplicare le ore di calcio da studiare. Al piatto fuori menù che si fa cucinare appositamente al Sant’Angelo, il suo ristorante italiano preferito a Wetherby: carne arrosto con patate, carote e zucca arrostita, cotti separatamente in modo che il succo non contamini la croccantezza dell’accompagnamento.

A Leeds lo ritraggono sui muri, scolpiscono sculture, battezzano birre con il suo nome. Per il giornalista catalano Guillem Balagué, sentito da La Nacion, c’è un elemento decisivo: “A Leeds, dove c’è molta disoccupazione (4,3% prima della pandemia, mezzo punto in più rispetto alla media del paese), gli abitanti si sentono maltrattati, trascurati. Avere uno che li porta al centro del mondo rende la loro figura iconica, è più di un semplice manager”. Un santo patrono.

Bielsa qualche tempo fa, durante una conferenza stampa, spiegò quanto fosse diventato facile vivere ai margini di Leeds, una metropoli di 793.000 abitanti: “Gran parte di questa regione è rurale e io sono un uomo di campagna nel cuore“, disse senza alzare lo sguardo.

Ogni giorno si fa scivolare lo zaino sulla schiena e cammina dal centro della città fino a Thorp Arch, il centro di allenamento che il club ha rinnovato a sua immagine e somiglianza. Sono 50 minuti a piedi, nel verde, mentre gentilmente respinge i giornalisti che lo seguono e i tifosi che lo accompagnano: gli è sempre piaciuto camminare. Nella tenuta di Ezeiza, a Guadalajara, a Santiago del Cile, nella periferia di Bilbao, a Marsiglia, a Lille. I selfie catturati nel suo percorso quotidiano dai tifosi del Leeds sono diventati un genere a se stante.

Ha messo su casa a Wetherby dopo un lungo girovagare. Voleva una casa austera, situata vicino alla tranquilla zona commerciale della città. “Marcelo ha bisogno di due camere da letto, un soggiorno, un buon bagno e poco altro. E’ ancora vecchio stile “, dice suo fratello a La Nacion.

Radrizzani, intervistato oggi dalla Gazzetta dello Sport dice:

“Volevo uno capace di cambiare a fondo la cultura del Leeds. Serviva un maestro di calcio che desse identità e un gioco offensivo. Il metodo Bielsa è uno stile di vita. Le basi sono la disciplina e un sistema di valori in cui ritrovarsi. Le regole sono ferree, militaresche, a cominciare dal peso quotidiano”.

C’è un motivo per cui “el Loco” per la stampa basca è invece “l’uomo in tuta”. Lo racconta ancora il fratello, e dice tantissimo di lui:

“Quando è stato nominato allenatore della nazionale argentina alla fine del 1998 ha dato via completi e giacche, ha infilato una tuta ed è andato a fare jogging. E’ diventata una scelta drastica. La tuta non se l’è tolta più”.

 

 

 

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