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“Sentiamo l’obbligo morale di giocare”. Anche l’industria NBA si vergogna dei soldi

Il commissioner Silver ha spiegato in tv perché il basket torna in campo: “La differenza economica tra riprendere o no è poca, lo facciamo per ridare normalità alla gente”

“Sentiamo l’obbligo morale di giocare”. Anche l’industria NBA si vergogna dei soldi

Persino la più grande industria sportiva al mondo si vergogna dei soldi. L’NBA non riprenderà a giocare per chiudere i conti – economici oltre che agonistici – con la stagione stoppata dalla pandemia, lo farà perché sente “un obbligo morale”. Anche a loro serve, evidentemente, una giustificazione più alta degli affari, per imporre come “accettabile” un torneo di tre mesi chiuso in una bolla a Disney World mentre gli Stati Uniti sono in fiamme, tra le proteste per l’omicidio Floyd e l’epidemia di coronavirus, che in molti Stati fa segnare il picco di contagi proprio in questi giorni.

Lo dice chiaro, il commissioner Adam Silver: “A questo punto la differenza economica tra giocare e non giocare non è così grande come pensa la gente, considerati i costi che dovremo sostenere per assicurare la massima sicurezza possibile a tutti. È più un obbligo morale che la comunità NBA sente di provare a tornare in campo, per non restare a guardare da fuori e darla vinta a un virus. Siamo la NBA, questo è quello che facciamo: pensiamo che la pallacanestro e lo sport possano far bene al resto del Paese in questo momento di enormi difficoltà per tutti”.

Kyrie Irving, Avery Bradley, Damian Lillard, Dwight Howard… si va avanti anche se una buona parte dei giocatori ha seri dubbi sulla scelta di tornare in campo mentre il Paese è scosso dalle tensioni razziali.  Ma Silver ribalta il concetto: “L’attenzione di tutti sarà su Orlando, per cui penso che i giocatori avranno una grande opportunità di generare ancora più consapevolezza su certi temi di giustizia sociale. Come può rispondere una lega come la NBA al razzismo endemico che attanaglia la nostra società? Insieme ai giocatori siamo convinti di poter utilizzare la nostra piattaforma per stimolare davvero un cambiamento reale all’interno della società”.

Silver è intervenuto sugli schermi di ESPN per chiarire definitivamente la situazione: “No, non è una situazione ideale perché stiamo cercando di dare un po’ di normalità in un periodo che ha visto una pandemia, una recessione che ha lasciato senza lavoro 40 milioni di americani e un periodo di forti tensioni sociali. Per questo posso capire le resistenze a tornare in campo da parte di alcuni giocatori: possono temere per la loro famiglia, per la loro salute, possono semplicemente sentire di voler spendere il loro tempo in un’altra maniera. Quello che è successo dopo la morte di George Floyd è qualcosa di unico, senza precedenti e ho grande empatia per le persone colpite da questo tipo di ingiustizia. Per questo capisco che la nostra idea di tornare in campo e incoronare un campione NBA possa non essere la priorità per molte persone. Venire a Orlando per riprendere a giocare può non essere per tutti  perché richiede enormi sacrifici a tutte le parti coinvolte”.

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