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Il manager dell’Hertha Berlino: «Finora ho fatto 12 tamponi, ma ne vale la pena»

Nello Di Martino a La Stampa: «Due aerei e due bus, e che fatica trovare le bottigliette numerate in panchina. A porte chiuse molti rendono di più. Nuovo positivo? La federazione ci ha invitato ad aggregare i giovani, non si sa mai».

Il manager dell’Hertha Berlino: «Finora ho fatto 12 tamponi, ma ne vale la pena»

Su La Stampa un’intervista a Nello Di Martino, ex portiere e storico manager dell’Hertha Berlino. Racconta il nuovo calcio della Bundesliga. Un calcio diverso, a cui bisogna adattarsi, «ma i giocatori sono felici».

Se il Paese riprende, dice, è giusto che riprenda anche il calcio. Il protocollo? Rigidissimo, assicua.

«Le dico solo che sono a 12 tamponi da inizio marzo. Due per partita: martedì e venerdì se giochiamo nel weekend, sabato e martedì se c’è l’infrasettimanale. Non piacevole ma ci si abitua».

Stesso discorso per gli altri aspetti del protocollo. Come doppio bus e doppio aereo.

«Viaggiamo su voli privati, ora ne servono due. Come due sono gli spogliatoi, senza catering: dopo la partita il cuoco prepara i box e si mangia sul pullman. Almeno in settimana abbiamo ripreso a pranzare a gruppi di quattro, distanziati di un metro e mezzo».

Dopo le partite ufficiali ci si fa la doccia quattro alla volta, «ma voglio vedere chi controlla». Invece, dopo gli allenamenti ci si lava a casa.

Di Martino racconta le altre difficoltà.

«Sembra una cavolata, ma in panchina abbiamo le bottigliette numerate e non è facile trovare subito quella giusta per chi viene a bere. Con tutte quelle telecamere…».

L’Hertha è stata al centro di diversi casi nelle ultime settimane, dalla diretta Facebook di Kalou, sospeso dal club per aver ripreso un compagno sottoposto a tampone senza le adeguate misure di sicurezza, all’abbraccio di Cunha dopo il gol all’Hoffenheim.

«Era la prima partita, logico ci fosse voglia di esultare. Non potersi abbracciare, dopo 90’ di contrasti, non è semplice da comprendere».

Sulle porte chiuse:

«Molti rendono di più, intendo in generale: senza la pressione del pubblico, non tremano le gambe».

L’assenza di tifosi non cambia granché le prestazioni dei club più grandi, ma penalizza i piccoli.

«Penso a Paderborn o Union, non avere i tifosi è un handicap. Ed è saltato il fattore campo, prevedibile».

E sul pericolo di un nuovo positivo:

«La federazione ci ha invitato ad aggregare i giovani, non si sa mai».

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