L’avvertimento in stile Ku Klux Klan ha svelato al mondo un altro pezzetto degli USA: il sud che difende ancora lo schiavismo e la bandiera confederata

Darrell “Bubba” Wallace Jr. prima, di trovare un cappio appeso nel suo box non era un simbolo. Era solo un pilota Nascar, nemmeno tra i più forti. E l’unica bandiera di cui si curava – l’ha detto al New York Times la madre, Desiree – “era quella a scacchi”. In carriera ha partecipato a 90 corse, finendo due volte tra i primi 5 e sei volte tra i primi dieci, mai una vittoria.
Ora però “Bubba” è diventato per tutti “l’unico pilota nero del campionato”, cosa che prima non era un segno distintivo. E un volto (coperto da mascherina a stelle e strisce) del Black Lives Matter mondiale. Perché il 21 giugno a Talladega, in Alabama, profondo sud “schiavista” degli Stati Uniti, in uno dei box della sua squadra (la Richard Petty Motorsports, gestita da Richard Petty) è stato trovato un cappio, un triste riferimento ai linciaggi contro i neri che per secoli erano pratica quasi quotidiana nel Sud degli USA.
Una ritorsione, sui ora l’FBI ha aperto un’inchiesta. Perché Wallace si era apertamente schierato col movimento antirazzista ed era uno dei fautori del divieto di bandiera confederata. Quella – per capirci – che era sul tetto del Generale Lee, l’auto di Bo e i Dukes. Quella bandiera è un simbolo razzista: era il vessillo degli stati sudisti che durante la guerra civile combattevano per il mantenimento della schiavitù dei neri.
La storia di Bubba Wallace ha avuto una risonanza internazionale, perché rappresenta molto bene l’aria che tira in questo momento negli Stati Uniti. Dove la Formula Uno non se la fila quasi nessuno, e dove la “pancia” del Paese è rappresentata dalla sfilata di suv e pickup a Talladega e in altre città, sfoggiando la bandiera confederata dopo la decisione della Nascar di vietarla. L’america del white trash, dei “bifolchi” armati, dei razzisti orgogliosi di un certo passato. Il campionato Nascar è tipo lo sport nazionale di quel popolo. E questa sua virata antirazzista proprio non è piaciuta alla gente. “Molti appassionati sono bianchi e conservatori – scrive il New York Times – e la Nascar ha profonde radici proprio nel Sud degli Stati Uniti”.
La Nascar in verità aveva già preso posizione contro la bandiera nel 2015, dopo la strage di Charleston – nella quale un suprematista bianco di 21 anni uccise nove afroamericani all’interno di una chiesa metodista. In quel caso il campionato invitò ufficialmente i tifosi a non usarla più. Ma dopo l’omicidio di George Floyd, il divieto è diventato perentorio. Wallace ne parlava così: “Per qualcuno può anche essere tradizione, ma altri ci vedono odio”.
My family. pic.twitter.com/031TvNDopA
— Bubba Wallace (@BubbaWallace) June 23, 2020