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Lino Banfi: «Oronzo Canà? Lo conoscono quasi tutti i calciatori del mondo»

Al CorSera: «Quando Ancelotti andò ad allenare il PSG gli scrissi un telegramma in francese “Mister ricordati il 5-5-5”. Lui appese il telegramma e tutti i giocatori ridevano come matti perché si ricordavano lo schema di Oronzo».

Lino Banfi: «Oronzo Canà? Lo conoscono quasi tutti i calciatori del mondo»

Il Corriere della Sera intervista Lino Banfi. Ieri il Guardian ha dedicato uno spazio al suo Oronzo Canà e all’Allenatore nel pallone. Banfi dice che è stato «come ricevere un premio».

«Da un po’ di anni Oronzo mi dà soddisfazione. L’hanno visto quasi tutti i calciatori nel mondo. Mi ricordo quando Ancelotti — che io conoscevo bene e frequentavo a Trigoria — andò ad allenare il Paris Saint Germain: gli scrissi un telegramma in francese “Mister ricordati il 5-5-5”. Lui appese il telegramma e tutti i giocatori ridevano come matti perché si ricordavano lo schema di gioco di Oronzo».

Racconta come è nata l’idea del film.

«Su un aereo Roma-Milano. Sedevo di fianco al grande Nils Liedholm: lui sapeva che ero romanista sfegatato e parlavamo spesso di calcio. Mi disse con quel suo accento tipo don Lurio: “Hai mai pensato di fare un film su un allenatore di calcio?”. E io dissi: “No. Sono pure grasso. Come faccio?”. E lui: “Tu assomigli a un vero allenatore, Oronzo Pugliese, molto buffo».

Così Banfi propose il film al regista, Sergio Martino. Tra le comparse c’erano molti giocatori famosi.

«Sì tanti. Fu un film davvero divertente. Ricordo Graziani che sfotteva la mia pelata e io gli dissi: “Tu diventerai più pelato di me”… E poi il grande goleador De Sisti, detto Picchio. Mi diceva sempre: “Ho fatto un sacco di cose nello sport e la gente si ricorda di me per quella stron… che ho fatto nel film».

Oggi il calcio è diverso da quello raccontato nel film.

«Vero. Il presidente deve essere della stessa città della squadra. Deve andare negli spogliatoi e parlare la stessa lingua. Da quando la Roma viene guidata da presidenti stranieri, non ho più affetto. E poi non c’è più l’attaccamento alla maglia».

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