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Il grido d’allarme di Gravina: “Ripartiamo subito, abbiamo già perso mezzo miliardo”

Il Presidente della Figc usa di nuovo la leva “industria” e spiega perché “il calcio deve ripartire il prima possibile”: è importante per l’economia, il sociale, la sanità e persino per lo sport

Il grido d’allarme di Gravina: “Ripartiamo subito, abbiamo già perso mezzo miliardo”

Un giorno ente morale che si indigna per le rimostranze sindacali dei calciatori, quello dopo “industria” che deve salvaguardare i lavoratori, e l’ormai famigerato “indotto“. Oggi è il turno dell’industria: il calcio non può permettersi di stare fermo, “ha già perso mezzo miliardo”. Così scrive il presidente della Figc Gabriele Gravina in un lungo articolo su Riparteitalia.it. Proprio nel giorno in cui un sospetto positivo nello staff del Bologna (con Mihajlovic che corre seri rischi per la sua salute) diventa sulla stampa “l’intoppo”: perché secondo i protocolli, ora l’intera squadra dovrebbe andare in quarantena per 14 giorni. E come si fa?

A sentire Gravina non ci si può fermare, anzi: “Se non si riparte subito facciamo un danno irreparabile al calcio italiano”.

Nel dettaglio, Gravina spiega che il calcio italiano è “un settore occupazionale importante (sono stimati in circa 100.000 i lavoratori diretti e nell’indotto), che produce emozioni e che genera introiti ingenti per lo Stato”.

E che “il fatturato diretto generato dal settore calcio è stimabile in 4,7 miliardi di euro. Di questa cifra, il 23% viene prodotto dai campionati dilettantistici e giovanili, dalla FIGC e dalle leghe calcistiche (1,1 miliardi di euro), mentre il restante 77% (3,6 miliardi) dal settore professionistico, ovvero dal valore della produzione generato dai club di Serie A, Serie B e Serie C. Un dato che evidenza quanto il comparto professionistico rappresenti il principale attore all’interno del sistema calcio e dell’intero sport italiano. A questi dati, se si allarga lo spettro di analisi, vanno aggiunti anche quelli del “Social Return On Investment (SROI) Model”, un algoritmo con il quale è stato analizzato il rilevante impatto socio-economico del calcio italiano dei quasi 1,1 milioni di calciatori e tesserati per la FIGC, che risulta pari nel 2017-2018 a circa 3,01 miliardi di euro. I settori coinvolti sono quello economico (742,1 milioni di contributo diretto all’economia nazionale), sociale (1.051,4 milioni di risparmio economico generato dai benefici prodotti dall’attività calcistica) e sanitario (1.215,5 milioni in termini di risparmio della spesa sanitaria), insieme a quello delle performance sportive”.

Riassumendo, in ordine il calcio incide nell’economia, nel sociale, nella sanità, e – infine – anche nello sport. Per dirla con le parole di Gravina: “Il calcio in Italia rappresenta uno straordinario fattore sociale ed economico, un ineguagliabile generatore di entusiasmo. La sua capillare penetrazione nelle diverse Comunità della Penisola lo ha reso, nel corso degli anni, un elemento di coesione e di sviluppo, un moltiplicatore di passione e uno straordinario volano per l’economia, in grado di affascinare la quotidianità di milioni di italiani molto più di altri settori produttivi del Paese”.

Un’industria, insomma. Che non si può fermare. Lo ricordate il titolo del Mattino dopo il terremoto dell’Irpinia? “Fate presto”. Così.

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