Sul Fatto. Il virus lascia segni importanti soprattutto in termini di insufficienza respiratoria. Lo dimostrano studi compiuti in Italia e in Cina. Avremo una schiera di malati da seguire e ambulatori da potenziare
Sul Fatto Quotidiano i timori degli scienziati sulle conseguenze del virus per chi ne è rimasto contagiato. Medici e ricercatori iniziano a pensare che questa pandemia lascerà in eredità una nuova categoria di malati con patologie croniche che peserà sul Sistema Sanitario Nazionale. Circa un paziente su tre riporterà danni permanenti, soprattutto a carico dei polmoni, ma non solo, anche su reni e fegato.
Maurizio Viecca, primario di Cardiologia al Sacco di Milano, dichiara:
«Ci ritroveremo con circa il 30% di guariti da Covid trasformati in malati cronici e colpiti soprattutto da difficoltà respiratorie».
Sarà necessario un serio screening su tutti i guariti, dice.
«Qui da noi abbiamo avuto persone dimesse e poi rientrate in ospedale dopo un mese con embolie, flebiti e vasculiti».
A preoccupare sono soprattutto i trombi all’origine delle polmoniti bilaterali interstiziali da Covid-19, come confermato da diversi studi autoptici portati avanti sia dal Sacco che dal Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Ciò porta come conseguenza la necessità di implementare il numero di letti nei reparti di pneumologia e di preparare ambulatori dedicati per controllare l’andamento clinico dei guariti da Covid.
Il Papa Giovanni ha già deciso di istituire un ambulatorio apposito dove richiamare i guariti per effettuare altri esami. Il dottor Luca Lorini, direttore delle terapie intensive di Bergamo dichiara:
«In questi mesi abbiamo scoperto che Covid è una malattia che lascia segni importanti. Si impone un follow-up per analizzare i tre livelli di pazienti: dai meno gravi a quelli finiti nelle terapie intensive e poi usciti. Dovremo capire i danni sul singolo. In sostanza capire quanto è grande e invalidante la cicatrice lasciata dalla malattia sul polmone di un paziente e quanti pazienti hanno riportato questi danni».
In Cina gli studi dimostrano che un paziente su tre, dopo la dimissione dall’ospedale, conserva un residuo di insufficienza. Molti pazienti hanno una capacità respiratoria ridotta fino al 30%: la crisi respiratoria può intervenire anche dopo una banale passeggiata.
Il pericolo di ritrovarsi con una platea di pazienti con difficoltà respiratorie e malattie polmonari è confermato anche dallo pneumologo del Gemelli di Roma, Luca Richeldi, e dal primario del Sacco Massimo Galli.