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“Quando segnai al Napoli al Bernabeu non sentii nulla, ecco come sarà il calcio a porte chiuse”

Il Pais ha chiesto ai protagonisti di Real-Napoli dell’87/88 cosa si prova a giocare senza pubblico: “Quella sensazione di vuoto, di tristezza, non ha nulla a che fare col nostro mestiere… È una sensazione di eco, dell’aldilà”

“Quando segnai al Napoli al Bernabeu non sentii nulla, ecco come sarà il calcio a porte chiuse”

Un gol “triste”. Quel flipper che nel silenzio del Bernabeu piazzò il pallone alle spalle di Garella, per il 2-0 del Real Madrid sul Napoli nella Coppa dei Campioni 1987/88, Miguel Tendillo lo ricorda proprio così: triste.

In tabellino, o almeno su quelli italiani, il suo nome non c’è: quel tiro rimpallato più volte finì registrato come autogol di De Napoli. Ma non è importante. Restano le sensazioni, il ricordo distorto dalle porte chiuse. L’eco di un calcio verrà. Una volta eccezione e prossimamente regola, causa pandemia.

“Se portiamo 22 giocatori su Marte e diamo loro una palla, il calcio sarebbe comunque il calcio. Il calcio non ha bisogno di nient’altro per preservare la sua essenza”. Così disse Mauricio Pellegrino nel 2002. Ma non è proprio così. Il Pais s’è portato avanti col lavoro e ha chiesto a un po’ di protagonisti di celebri match giocati senza pubblico, cosa effettivamente si prova. E il primo della lista è proprio il difensore centrale del Real che eliminò il Napoli alla prima occasione della storia azzurra.

“Quando entrammo in campo non riuscivo a concentrarmi, perché sembrava una sessione di allenamento. Sentivo cose che normalmente non riesci a sentire. Sentivo tutto quello si dicevano i miei compagni di squadra, ma anche le urla degli avversari. Quando il mio tiro finì in porta sentii il rumore che la palla fece entrando in rete. Era un calcio d’angolo, mi arrivò una palla quasi morta, calciai da da fuori e colpii Giordano sulla schiena. La palla entrò e non sentii niente. Solo gli abbracci dei compagni: Solana, Míchel … Fu strano”.

Martín Vázquez, un altro dei protagonisti di quella sera, si sentì così fuori posto che quasi non ricorda nulla: “La nostra professione è legata allo spettacolo. Lo spettacolo deve avere un pubblico. Quando ti manca il pubblico, sei fregato. Ti manca la scintilla. Ti mancano gli applausi che speri di guadagnarti. Se fai un sondaggio tra tutti i giocatori ti diranno che piuttosto che a porte chiuse preferiscono giocare con tutto il pubblico contro, anche se ti fischiano ogni volta che hai la palla. Quella sensazione di vuoto, di tristezza, non ha nulla a che fare con il nostro mestiere … È una sensazione di eco, dell’aldilà”.

Due decenni dopo FIFA e UEFA ritengono che l’unico modo per salvare l’industria del calcio sia mandare i calciatori su Marte, sperando che avesse ragione Pellegrino.

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