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Ma il calcio non conosce la controra? È il momento di stare fermi

Di fronte a quello che tutti stiamo vivendo, quanto possono coinvolgere i dibattiti, le notizie sul futuro di Mertens, sui ritiri, sulla conclusione del campionato? Forse un momento di silenzio sarebbe richiesto

Ma il calcio non conosce la controra? È il momento di stare fermi

La controra. Un termine, una abitudine tipicamente meridionale derivata dalla siesta spagnola. Il riposo, l’interruzione delle attività per evitare, in estate, il caldo, il sole che arriva dopo mezzogiorno e che rende faticosa qualunque attività. Una sosta anche per capire cosa fare, quali appuntamenti prendere al ritorno del fresco. Rimanere all’ombra, riparati, fermi in sostanza fino al pomeriggio.

Un termine che mi sono sempre sentito ripetere dai miei genitori in campagna, a Baselice, in provincia di Benevento, dove andavamo a trascorrere l’estate: i figli dei “signori” nella controra non escono, non vanno al bar, non vanno a giocare, non fanno cose!

Scuri appannati in casa per difendersi dal caldo e attesa del fresco. Per poi riprendere alle 16, alle 17 le consuetudini, i giochi, gli incontri. Mi sono messo oggi a fumare, come al solito, un sigaro sul terrazzo di casa e, guardando per strada… il nulla, il silenzio. Sono tornato alla mia adolescenza, alle mie vacanze nella casa di campagna. Momenti in cui non guardavi con favore (forse però invidiandoli) ragazzi, persone che – in spregio alla “legge” sulla controra – circolavano, giocavano, chiacchieravano.

Ma il calcio conosce la controra? Non comprende forse che è il momento di stare fermi, di aspettare che passi il caldo? Certo il mondo del calcio è un’industria, un sistema economico intorno al quale girano milioni di euro e centinaia di miglia di occupati. Ma è pur sempre un’industria di intrattenimento. Non produce mascherine, respiratori, vestiti, automobili e qualunque altra cosa indispensabile per la vita di un Paese prostrato, segnato in maniera drammatica dal coronavirus.

Interessi milionari, diritti tv, stipendi fuori mercato (oggi) ma che sicuramente non interessano i milioni di italiani alle prese con l’epidemia. Quanto possono coinvolgere i dibattiti, le notizie sul futuro di Mertens (giocatore che terrei a vita al Napoli), sui ritiri, sulla conclusione del campionato?

Non sono il primo a dirlo, registro da colleghi, amici tifosi non solo del Napoli, un disinteresse per il consueto pollaio (che pure a noi piace) sul calcio. Riprende il campionato? Quando? La squadra del cuore come finirà? Viene tutto annullato? Il Napoli rimane in Champions? Scusate… ma che ce ne fotte!

Io, come tantissimi altri, ho perso a Napoli un mio zio, molto anziano certo, per il coronavirus. Uno zio al quale ero molto legato e che, come migliaia di altri italiani, non ho potuto salutare, piangere come sarebbe stato doveroso. E avrebbe meritato. Di fronte a tutto ciò forse un momento di silenzio, di condivisione senza pensare (noi tifosi) al gioco, al futuro della nostra squadra sarebbe richiesto.

Il calcio ci piace, le partite sono il sale della nostra settimana (per molti piena di tristezze, incomprensioni sul lavoro, famiglie difficili, figli che non ascoltano…) ma credo che dovremmo dividere il tema: gli interessi e le scelte economiche dell’impresa calcio (che assolutamente non ci interpellano, se non di riflesso) e il piacere dello svago, del pensare ad altro che può dare una partita, dal giorno dell’incontro a quelli successivi e fino ad un nuovo appuntamento…

Ma forse una controra, un silenzio, un rimando a quando il sole (il virus) non batterà più così forte e arriverà il fresco (fase 1,2,3,4 come volete) sarebbe necessaria. Da parte di tutti. Per riprendere con gioia il nostro “lavoro” di tifosi.

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