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La vedova dell’agente della scorta di Conte: «Mio marito non aveva patologie pregresse»

Al Messaggero: «L’ho salutato sulla porta di casa quella sera e da allora non l’ho più visto. Non puoi neanche accarezzare una bara»

La vedova dell’agente della scorta di Conte: «Mio marito non aveva patologie pregresse»

Ieri il virus ha ucciso anche Giorgio Guastamacchia, agente della scorta del Premier Giuseppe Conte. E, prima di lui, di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Guastamacchia aveva 52 anni. Si era ammalato a metà marzo. Non viaggiava nell’auto del capo del governo, ma in quella dietro e non aveva avuto contatti con il Premier nelle settimane precedenti.

Oggi Il Messaggero intervista la moglie dell’agente, Emanuela. Racconta la malattia del marito, un “gigante buono” che «si prendeva cura degli altri con la stessa passione che riservava agli affetti più cari».

Prima i sintomi classici, mal di gola e tosse, per un paio di giorni. Poi, al quarto giorno, la febbre, che non andava via nemmeno con il paracetamolo. Infine il ricovero in ospedale, il 18 marzo. Nessuna patologia pregressa, spiega la moglie.

«No o almeno nulla che fosse stato diagnosticato».

Guastamacchia lascia lei e due figli.

«A me, ai ragazzi e a mia suocera hanno fatto il tampone e siamo tutti negativi ma fin dalla comparsa dei primi sintomi abbiamo osservato anche in casa tutte le misure di precauzione e credo che questo ci abbia salvati».

Nessuna idea su dove possa essere avvenuto il contagio. E lo strazio di aver visto il marito per l’ultima volta quando lo hanno portato via per ricoverarlo in ospedale.

«L’ho salutato sulla porta di casa quella sera e da allora non l’ho più visto. Giorgio sapeva che era una cosa seria ma era rimasto sereno, non ci voleva spaventare. Pensi che la mattina dopo mi ha mandato una foto con l’immagine del tè che gli avevano portato e il messaggio “oggi colazione a letto” questo per farle capire che persona era mio marito».

Descrive suo marito come un uomo di «gran cuore», in polizia da trent’anni, innamorato del suo lavoro. Discreto, riservato, uomo dall’intelligenza vivace. Che era riuscito a laurearsi in Sociologia e Giurisprudenza mentre lavorava. Sempre presente in famiglia, «semplice e ironico».

Anche nel suo caso, come in quello di tutti i morti per questo terribile virus, non ci sarà neppure la possibilità di fare un funerale.

«Faremo sicuramente una funzione in sua memoria quando sarà possibile. Non l’ho più visto da quella sera in cui è salito sull’autoambulanza: questa è la parte più tragica. Sono vicina in questo momento a tutti quelli che hanno perso i propri cari. Non li vedi più, non puoi neanche accarezzare una bara. Ma al contempo mi sento anche di dire che se veramente gli altri non vogliono provare quello che stiamo provando noi adesso, stare chiusi in casa è l’unica soluzione. So che è difficile e penso a tante situazioni drammatiche: donne costrette a vivere, ad esempio, con compagni o mariti violenti, ma rispettare veramente le regole è l’unico modo per salvarsi. Sembra estremo lo so, ma noi in famiglia lo abbiamo fatto e siamo qui».

La vedova Guastamacchia conclude con una speranza per il futuro.

«Io spero che ci sia un cambiamento nei rapporti con e tra le persone. Queste sono le situazioni in cui ti rendi conto che tante cose le puoi lasciare andare perché sono futili. Perché poi non avrai più la possibilità di poter rimediare. Spero molto nella nostra umanità».

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