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Del Piero: «Sbagliato criminalizzare chi vuole ripartire. Non vuol dire mancare di rispetto alla salute»

Alla Gazzetta: «Inevitabile un ridimensionamento delle cifre. Il calcio italiano si è allontanato dalla gente sia per l’immagine di molti calciatori sia per gli stadi»

Del Piero: «Sbagliato criminalizzare chi vuole ripartire. Non vuol dire mancare di rispetto alla salute»

La Gazzetta dello Sport intervista Alex Del Piero. Sarebbe preferibile, dice, terminare la stagione sul campo.

La priorità adesso è la salute, ma subito dopo viene la necessità di far ripartire l’economia.

«La priorità è sempre e comunque la salute di tutti, dunque serve il massimo livello di sicurezza. Ma la seconda priorità deve essere quella di ripartire per affrontare l’altra emergenza: quella dell’economia, dei posti di lavoro. Io credo che tutto questo vada considerato anche quando si parla di futuro dello sport professionistico. Non mi piacciono i discorsi demagogici di chi quasi criminalizza chi sta provando a rimetterci in marcia. Per questo dico che quando si avrà l’ok dei medici sarà giusto tornare a giocare, dapprima ovviamente a porte chiuse».

Non è dunque sbagliato programmare la ripresa e pensare ai calendari.

«E dunque quello che possiamo fare oggi è continuare a lavorare, studiare le formule dei campionati, i calendari. Questo non vuol dire soltanto tornare a una vita se non normale almeno più normale, ma soprattutto pensare a come far ripartire un movimento che dà lavoro a tante persone. Credo che questo non voglia dire assolutamente mancare di rispetto alla vera priorità, ovvero la salute».

Il problema non riguarda solo la Serie A. Per questo occorre una visione di insieme.

«La preoccupazione per il futuro c’è in tutti i campi, ovviamente anche per il calcio in generale, non solo per la serie A. Penso pure alle categorie inferiori. Proprio questo è il momento di triplicare le forze: per ripartire e per cambiare davvero. Non so cosa accadrà, ma so che non ci si può più nascondere. Se ne può uscire solo come un sistema, impossibile pensare che solo una parte ci debba lasciare qualcosa. Penso di sapere cosa non deve fare più parte del nostro futuro, ovvero le logiche che guardano solo al presente, senza prospettiva imprenditoriale, senza visione. Tutti oggi devono fare la loro parte, se serve anche noi ex giocatori, quelli che hanno qualcosa da dire o da proporre per il bene del nostro sport. Ovviamente perché se lo meritano, e non per meriti acquisiti in passato».

Sarà inevitabile, secondo lui, un ridimensionamento delle cifre in ballo nel calcio.

«Credo che un ridimensionamento complessivo delle cifre in ballo sia ormai inevitabile. L’equilibrio tra costi (stipendi, commissioni, mediazioni e costi accessori) e ricavi (stadio, diritti tv, merchandising) deve garantire al club non sopravvivenza, ma longevità e di essere meno dipendente da pochi risultati.Va poi affrontato il problema del rapporto con il pubblico. Il calcio italiano si è isolato, è distante dalla gente, sia nell’immagine (spesso sbagliata) che si sono fatti loro malgrado molti calciatori, sia per il problema degli stadi, inadatti alle famiglie. Quello è il pubblico da coinvolgere: dobbiamo prenderci quella gente, i ragazzi, le donne (a proposito, il calcio femminile!). E aprirci a una dimensione più “americana” nella gestione delle leghe professionistiche e del calcio come sport e show, pur mantenendo la nostra specificità e tradizione europea. Poche regole, niente deroghe, ossessione per il livello dello spettacolo, dell’immagine e della competitività».

 

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