ilNapolista

L’intervista di Allegri a L’Equipe è poesia: «I gol più belli sono quelli in contropiede»

«La differenza per un allenatore la fa la gestione delle risorse umane, non la tattica. Dal lunedì al venerdì si fa un lavoro, la domenica un altro»

L’intervista di Allegri a L’Equipe è poesia: «I gol più belli sono quelli in contropiede»
Photo Matteo Ciambelli

Il quotidiano sportivo francese L’Equipe dedica due pagine di intervista a Massimiliano Allegri che era a Parigi per la presentazione del suo libro. Un’intervista che è poesia, che è ossigeno in tempi di dittatura calcistica. Allegri è ormai uno degli ultimi resistenti del gioco del calcio come lo abbiamo conosciuto noi prima che diventasse un surrogato della geometria. Leggete, abbeveratevi. È tratto da Slalom molto più che una rassegna stampa, un prodotto giornalistico confezionato da Angelo Carotenuto e che arriva ogni mattina nelle caselle di posta elettronica degli appassionati di sport.

«Non avrei mai scritto sulle tattiche, non lo farei mai, ci sono un miliardo di allenatori che sanno più di me. Ma volevo scrivere di risorse umane, è ciò che fa la differenza per un allenatore.

Le risorse umane sono la cosa più importante?

«Sì, perché tutte le stagioni sono diverse. E perché i club sono profondamente cambiati in trent’anni. Ci sono anche i social network, il tecnico non può occuparsi solo del campo. È molto più complesso. Prima avevi 14 o 15 giocatori, 1 fisioterapista, 1 preparatore, ora sono 7 fisioterapisti, 3 medici, 8 preparatori, video analisti: quando si fa una riunione, ci sono più membri dello staff che giocatori. Dobbiamo cercare di far capire ai futuri allenatori che non devono fermarsi al campo, che è importante ma non decisivo».

Se il campo non è determinante, cosa lo è?

«Dare un’organizzazione a una squadra lo è, ma sono i giocatori che vincono la partita. Non ho mai visto un allenatore fare gol dalla panchina. Questo non significa che non lavori tutta la settimana. Devi dare alla squadra un’organizzazione, ma non puoi immaginare di vincere una partita con un piano tattico.

«Quando sento che un allenatore deve guardare la partita dalla tribuna, che stupidaggine. Un allenatore deve vivere il campo, altrimenti sei tagliato fuori dal mondo reale. Prepari la partita, dici: “faremo questo, questo e quello”, e poi, nove volte su dieci, la partita va diversamente rispetto a quello che avevi pianificato. Non possiamo iniziare alle 9 e finire alle 11 allo stesso modo».

Il buon allenatore è l’allenatore è quello che vince?

«Il buon allenatore è quello che fa meno danni in una partita. È colui il quale sa leggere il gioco, e non importa se gioca a 3, a 4 o a 5 dietro. Dal lunedì al venerdì si fa un lavoro, la domenica se ne fa un altro, si gestisce l’inatteso. Un allenatore deve sentire il momento. Un grande leader trova la soluzione al suo problema prima degli altri. Non hai tempo per pensare. Sono sensazioni».

Un allenatore con principi immutabili è stupido?

«Non lo so. Quello che penso è che l’allenatore dovrebbe dare alla sua squadra una buona organizzazione, ma lasciare che anche i giocatori siano liberi di creare, di divertirsi. I dati e le statistiche non determinano un risultato».

Non ti piacciono le statistiche?

«Devono sempre essere lette attraverso il gioco. Se vinci 2-0, lasci la palla all’avversario, il che ha senso, e poi dicono: “Ah, ma non hai avuto il possesso della palla. Ma ho deciso di non avere possesso. Qual è il problema?».

 Ti dà fastidio questa cosa del possesso.…

«Noto che i gol più spettacolari sono quelli segnati in contropiede, perché combinano tecnica, velocità e spazio. Ma va bene. Il possesso è importante nella gestione di un gioco. Se stai giocando contro una squadra che difende in dieci uomini, è ovvio che avrai il possesso ma qual è il tuo merito? Questi sono solo numeri che bisogna saper leggere. E poi, in termini assoluti, a tutti piace avere il possesso!

Guardate Pep Guardiola. Quando era al Barça, la sua filosofia era di reagire alla perdita della palla, di recuperarla immediatamente, e di tenerla, perché aveva Xavi, Messi e Iniesta, e quando decidevano, segnavano. Il Manchester City gioca un calcio molto diverso, perché Pep è intelligente e vede le caratteristiche dei suoi giocatori. Quel Barça era unico e non può essere ripetuto, non fa parte del calcio normale, aveva giocatori eccezionali e nessuno giocherà di nuovo questo calcio. Abbiamo cercato di copiare qualcosa che non esisteva! Esiste un solo Messi, un giocatore che può dribblare otto avversari. 

ilnapolista © riproduzione riservata