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Lagioia: “Elena Ferrante: chi è interessato all’autore più che all’opera, è un guardone”

Il Secolo XIX intervista Nicola Lagioia, direttore del Salone del Libro di Torino: “I suoi romanzi non sono consolatori, ampollosi, ricattatori o moralisti”

Lagioia: “Elena Ferrante: chi è interessato all’autore più che all’opera, è un guardone”

Giovedì sarà il Ferrante day.

In tutte le librerie arriverà l’ultimo lavoro di Elena Ferrante, “La vita bugiarda degli adulti”, edito da E/O. Per l’occasione, Il Secolo XIX intervista oggi il direttore del Salone  del Libro di Torino, Nicola Lagioia, che domani sera intratterrà i lettori in occasione della Ferrante Night al Circolo dei Lettori, evento dedicato all’attesa del libro.

Con la Ferrante, Nicola Lagioia ha dialogato spesso a distanza. Quello che più lo colpisce della produzione della misteriosa scrittrice, spiega, è che

«riesce a conciliare molto bene complessità e leggibilità. La tetralogia dell’Amica geniale tiene conto di alcuni valori a cui Italo Calvino riteneva che la letteratura del terzo millennio avrebbe potuto ispirarsi per avere ancora una voce tra gli uomini: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, coerenza. Aggiungerei un’assenza importante: la ruffianeria».

La Ferrante, secondo lui, seduce il pubblico

«perché i suoi romanzi non sono consolatori, ampollosi, grossolanamente ricattatori o candidamente moralisti come non poche opere ispirate solo al desiderio di successo, che peraltro a volte neanche raggiungono».

Anche nel nuovo libro la Ferrante racconta Napoli. Un legame, quello tra la letteratura e le città, da sempre molto intenso, spiega Lagioia:

«La letteratura intrattiene da sempre un rapporto molto intenso con i suoi luoghi: togli a Macbeth la Scozia, al Milton di Fenoglio le Langhe, ad Achab l’oceano, a Swann Parigi, al principe di Salina la Sicilia, a Stephen Dedalus e Molly Bloom Dublino, a Raskolnikov Pietroburgo. Cosa resta?».

Sull’uso del dialetto e anche di parolacce nei libri della Ferrante dice che con la letteratura si può fare di tutto, basta avere la statura giusta.

«Con la letteratura si può fare di tutto. Il romanzo è una forma onnivora, ha uno stomaco forte, può digerire dialetti, parolacce, neologismi, come sapevano molto bene Dante Alighieri e Antony Burgess».

Perché c’è tanta attenzione al personaggio Ferrante più che a quello che scrive?

«Chi è interessato all’autore più che all’opera – o addirittura si disinteressa dell’opera a favore della biografia – non è un lettore forte, non è nemmeno un lettore debole. È un guardone. A quel punto consiglierei pornhub, facciamo prima».

Ma il successo della Ferrante non è dovuto al suo anonimato che è una scelta legittima, adottata da altri prima di lei, come Thomas Pynchon, ma che non è un espediente.

«Se lo fosse, saremmo pieni di libri di anonimi che vendono milioni di copie. Evidentemente ci interessano solo scrittori di talento, che siano anonimi come Omero, misantropi come Salinger o molto felici di farsi fotografare come Truman Capote».

 

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