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De Laurentiis non ha fatto De Laurentiis e il Napoli ibrido gli si è rivoltato contro

Un ciclo era finito, avrebbe dovuto vendere i senatori e ricominciare con Ancelotti. Non ha avuto il coraggio di farlo e queste sono state le conseguenze

De Laurentiis non ha fatto De Laurentiis e il Napoli ibrido gli si è rivoltato contro

Che bello questo clima da fallimento. Sono tornati i tempi di Naldi e Corbelli, con contestazioni, fischi e offese ai giocatori e serenità oramai lontano miraggio.

Una roba incredibile, a pensarci: sembra un incubo. Tutto sommato per anni eravamo rimasti immuni a situazioni di crisi, di spaccatura così dirompente. Forse, l’estenuante rincorsa di questi anni ha esasperato a tal punto gli animi che una rottura così scomposta, plateale, clamorosa sembra quasi scivolarci addosso, come inevitabile.

È successo l’incredibile, dobbiamo ammetterlo: perché forse in pochi avrebbero scommesso su malumori del gruppo, per anni raccontato da tutti (interni ed esterni) come un’oasi felice, disponibile e piena di bravi ragazzi attaccati ai colori azzurri (tutti, pensate a Pavoletti e Toni Doblas, per dire, che ancora oggi raccontano dei pochi mesi a Napoli come di esperienze speciali).

Perché è ancora più incredibile che la più fragorosa delle proteste dei calciatori arrivi nel momento in cui la guida tecnica è quanto di più disponibile ai giocatori, non tanto per convenienza del momento, quanto per profonda convinzione: Ancelotti è prima di tutto un ex calciatore, che ha vissuto l’epoca di transazione del calcio moderno, quella in cui è cambiata la posizione degli atleti, sempre più protagonisti e meno inclini a rigide regole ferree, anche con riferimento alla vita privata. Lo ha sempre affermato, anche nel suo libro “Il Leader Calmo”: la sua leadership si è caratterizzata proprio per essere votata alla responsabilizzazione massima dei calciatori. La scelta di voler puntualizzare la non condivisione del ritiro risponde alla coerenza del personaggio, non tanto a logiche del momento. Infatti, di fronte al potenziale momento di rupture, in conferenza stampa, il tecnico ha ribadito la necessità di rispettare le scelte della proprietà. Aziendalismo? Io direi rispetto, anzitutto.

E allora, è ancora più grottesca la scena del San Paolo. Sindrome, forse, di un malessere molto più radicato nelle membra di un gruppo, prima di tutto, stanco. Perché è nella natura dell’uomo cercare nuovi stimoli, provare nuove sensazioni, diventare insofferente nei confronti di una gabbia dorata dove ci si sente stretti. E allora, le mancate risposte alle proposte di rinnovo di Mertens e Callejon, l’insofferenza di Allan che voleva andarsene a gennaio, i mal di pancia di Insigne capitano con la c piccola, le follie di Koulibaly, le vacanze di Ghoulam, sommate anche agli addii (a stagione in corso) di Marek e Albiol [si fece operare] possono dirci di uno spogliatoio dove la polvere da sparo pronta ad esplodere era nascosta sotto il tappeto dell’ipocrisia.

Ma, pur volendo connotare di significato politico quanto accaduto in queste ore, non si può giustificare un attentato contro l'”ordine costituito” senza il benché minimo stralcio di rivendicazione: le palle, se preferite, di dire “Sì, abbiamo fatto così perché non ci sta bene x” o “Perché y non può fare questo”.

Niente. Silenzio, anche da parte dei frequentatori di social e dai loro familiari, un tempo addetti a scrivere mezze battutine e oggi muti, pregni di una omertà che cozza con il presunto coraggio che vorrebbero darsi. Anzi, un tentativo di ribaltare la realtà, qualche suggeritore l’ha data: “non sapevamo del ritiro”, “la squadra non sopporta il figlio di De Laurentiis”, “il nepotismo di Ancelotti è mal visto dai senatori”.

Tutte balle mal costruite, e infatti non ci crede nessuno, nemmeno gli storici contestatori della Società, che oggi pomeriggio hanno scelto contro chi schierarsi, riportando al San Paolo un lessico che, da anni, mancava nell’appellarsi alla propria squadra.

La Società. Difficile, nel momento delle scelte, non schierarsi con chi, a fronte di risultati oggettivamente tra il deludente e lo scadente, ha provato a imprimere una svolta alla stagione. Il ritiro, che raramente il Napoli ha imposto, consisteva in altri due giorni, prima del rompete le righe dovuto alle nazionali. E viene più di un dubbio, allora, che la scelta di disertare sia stato un pretesto del gruppo per sancire la rottura con Aurelio De Laurentiis, se non con Ancelotti stesso.

E allora, va da sé chiedersi se anche la Società non sia immune da critiche. Se anzitutto ha lavorato perché una simile rottura potesse essere evitata. Oggettivamente, qualcosa si era rotto. La sempre più velenosità delle battute di Adl nei confronti dei suoi tesserati ha, senza dubbio, finito con l’acuire un senso di insoddisfazione, specie all’alba delle trattative per rinnovi complicati.

Inoltre, in sede di calciomercato, il Napoli è parso ritornare un po’ troppo spesso sui suoi passi: oltre alla telenovela James, il terzino sinistro è rimasto Mario Rui, dopo che Ancelotti aveva lasciato intendere chiaramente di non puntare più su di lui. E così, fino al 29 agosto, abbiamo perso tempo ad inseguire un Icardi che non ci avrebbe mai scelto, contribuendo alla crisi di Milik e solo all’ultimo salvandoci con l’acquisto di Llorente.

Cosa c’entra questo con l’ammutinamento? Beh, poco, anche se ci consente di arrivare a quello che, secondo chi vi scrive, è il peccato originale della Società.

Non avere avuto il coraggio di vendere, di rivoluzionare la squadra con linfa nuova, giovani di carattere pronti a raccogliere il testimone di un gruppo che aveva dato tanto ma che non era riuscito a coronare sogni di vittoria.

De Laurentiis non ha fatto il De Laurentiis, e questo ibrido gli si è rivoltato contro. Ha scelto un allenatore vincente, di immagine, ma gli ha consegnato una macchina da rigenerare e non una nuova di zecca. Una squadra pronta a seguirlo ma fino ad un certo punto, anzi col tempo sempre più insofferente (Insigne che vuole tornare a giocare alto a sinistra ne é l’esempio più cristallino). Con il risultato che ad essere stati annacquati sono stati i principi di gioco, risentendone altresì le prestazioni individuali degli astri nascenti della squadra (Zielinski e Fabian, ma anche Lozano).

La Società ha scelto la continuità, inconsapevole del fatto che i cicli si chiudono e dalle ceneri di ciò che ha segnato un’epoca spesso germogliano nuove storie, forse anche più belle e più fortunate.

Non ha ceduto Allan, non ha ceduto Koulibaly, non ha ceduto Callejon, Mertens e Insigne: e sul momento io ne sono stato contento. Ma oggi, stando a quanto riportano i giornali, sono stati i novelli Gavrilo Princip, in una nostra personalissima Sarajevo in cui diverse e disparate rivendicazioni trovano sfogo nell’assassinio di un Franz Ferdinand, casus belli di una guerra che sarebbe scoppiata comunque.

Ora, il guaio è fatto: al momento, mi è più facile immaginare che la squadra (o quel che ne è rimasto) sprofondi nel burrone, che riesca incredibilmente a risalire la corrente avversa. Con la guida tecnica di Ancelotti forse delegittimata sia dalla Società, che dalla squadra. E quindi destinata a durare poco.

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