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Diabolik, l’appuntamento nel parco per l’agguato e i tre cellulari da decriptare

Sul Messaggero la terza puntata della storia di Fabrizio Piscicelli. Fu attirato in una trappola. Con lui l’autista cubano

Diabolik, l’appuntamento nel parco per l’agguato e i tre cellulari da decriptare

Sul Messaggero la terza puntata del racconto della storia di Fabrizio Piscicelli. Diabolik, il capo ultrà laziale morto il 7 agosto per un colpo di pistola alla nuca. C’è il racconto dell’agguato e dei giorni successivi, già ampiamente trattati dalla stampa nelle ultime settimane.

Prima di tutto l’agguato. Diabolik è stato ucciso mentre era seduto su una panchina nel parco romano degli Acquedotti. Il killer, travestito da runner, gli ha sparato alle spalle, alla nuca, a distanza ravvicinata con una calibro 7,65, all’altezza dell’orecchio sinistro.

Erano quasi le 19, il parco era affollato, ma il killer non ha avuto paura. Gli è bastato un colpo solo per uccidere, con il volto coperto, il capo della curva Nord.

Due i testimoni oculari che, pur non assistendo alla sparatoria, hanno visto di sfuggita il killer descrivendolo come un uomo alto, non troppo robusto, vestito da runner con una maglietta verde. Hanno dichiarato che, dopo l’agguato, è scappato su uno scooter. Quindi c’era un complice ad aspettarlo.

Diabolik non era solo su quella panchina. Stava aspettando qualcuno – di cui però non si conosce l’identità – in compagnia di un autista cubano che sostituiva il suo storico guardaspalle, in ferie estive.

Non si aspettava l’agguato, nonostante si guardasse continuamente alle spalle e prestasse anche molta attenzione a schermare quanto più possibile le telefonate, come dimostra il sequestro dei tre cellulari che utilizzava e che adesso sono affidati ad una società estera per esfiltrarne i dati.

L’autista cubano era parente di un ultrà della Curva, lo aveva reclutato così. Di corporatura robusta e di poche parole, con un passato da buttafuori in un locale sulla Tiburtina, era perfetto per quel lavoro.

Quel giorno il cubano aveva accompagnato Diabolik in giro per Roma come al solito. Sedeva accanto a lui sulla panchina ma nemmeno lui si è accorto dell’arrivo del killer. Quando Diabolik si è accasciato, il cubano si è girato ma non ha visto nessuno, o almeno è quello che ha detto agli investigatori. Di aver visto solo un uomo con gli occhiali e una bandana sul volto che scappava.

Non ha detto nulla nemmeno lo storico autista che il cubano sostituiva. Con gli inquirenti è stato chiaro:

“Mi potete anche arrestare, ma io non vi dirò nulla”.

Appena quel giorno iniziò a circolare la notizia della morte di Diabolik iniziarono ad arrivare le volanti della polizia, la scientifica e anche gli ultrà e i parenti e amici del capo ultrà.

Il suo corpo viene portato al policlinico di Tor Vergata per l’autopsia, mentre in Questura si iniziano gli interrogatori di chi lo conosceva bene.

Dopo poche ore dall’omicidio l’attenzione si sposta sul funerale di Diabolik. In una querelle tra parenti e ultrà che vogliono il funerale pubblico e le forze dell’ordine che si oppongono. Una storia lunghissima conclusa con un funerale aperto solo a 100 persone.

Conclude il Messaggero:

“Diabolik verrà celebrato con saluti romani e minacce ai cronisti, con la Curva che si ricompatta in un piazzale assolato sull’Ardeatina. Con volti noti alle autorità che sfileranno a bordo di suv e auto di grossa cilindrata, sfoggiando ai polsi rolex, bracciali tempestati di diamanti e vestendo le magliette con l’immagine di quegli occhi. Gli occhi di Diabolik”

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