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Tutti pazzi per FaceApp. Per Marino Niola un modo, per i calciatori, di esorcizzare la paura di invecchiare

Il nuovo giochino digitale permette di vederci invecchiati, ringiovaniti o nei panni dell’altro sesso. Dybala e Salah tra quelli che hanno lanciato la moda

Tutti pazzi per FaceApp. Per Marino Niola un modo, per i calciatori, di esorcizzare la paura di invecchiare

C’è una nuova app che spopola. Si chiama FaceApp: ritocca i nostri visi mostrando come saremo, forse, da anziani o come potevamo essere da giovani. Ringiovanisce o invecchia a seconda della richiesta, insomma, partendo da un proprio selfie e facendo una richiesta al sistema.

Il Giornale ricorda che ad avviare la moda sono stati i calciatori. Dybala, ad esempio, ha postato la sua foto travestito da vecchio con la fascia da capitano della Juventus al braccio, scrivendo sui social: “Così fra qualche anno”

Anche Salah l’ha utilizzata, proponendosi in versione“pescatore sessantenne”, tanto da far gridare allo scandalo lo studioso islamico egiziano Essam al-Roubi. Secondo lui bisognerebbe vietarla, perché “cambia la creazione di Dio”.

faceapp calciatori

Non è un caso, scrive oggi Marino Niola su Repubblica, che a pubblicizzare l’applicazione siano stati soprattutto i calciatori

“che adesso stanno vivendo la meglio gioventù e che si divertono ad utilizzare tutti quei comandi che danno espressioni opzionali come l’uomo vero, il bullo ed altre icone del bestiario giovanile. Ma al tempo stesso questi baciati dalla sorte esorcizzano quella che è la loro più grande paura e cioè che il tempo dia loro il cartellino rosso. E allora lo prendono in contropiede”.

FaceApp consente anche di studiare come saremmo nei panni dell’altro sesso.

“In questo caso non si tratta di mascherarsi ma all’opposto, di gettare la maschera. E di scoprire per esempio che quell’altro o quell’altra che ci guardano sono più noi di noi stessi. In questo caso però il gioco si fa improvvisamente serio”.

Al di là dell’apparenza “ludica, goliardica, cazzara” dello strumento, scrive Niola, c’è “qualcosa di profondamente perturbante” in questo nuovo divertimento digitale.

“Perché è come se tracciassimo una sorta di identikit per andare alla ricerca di noi stessi nella bolla del tempo. O per muoverci random nei labirinti della nostra identità, con la possibilità di vederla andare in frantumi, aprirsi in mille facce come un prisma. E casomai scoprire che quel viso da straniero che ci appare all’improvviso è nostro e non più nostro. E qualche volta più nostro del nostro. Insomma la tecnologia, che spesso sembra alimentare una insostenibile leggerezza dell’essere rischia improvvisamente di metterci vis-à-vis con l’insostenibile pesantezza di essere”.

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