Sul Corsport: “Il tradimento non è di Sarri ma della figurina che un pezzo di città (che corrisponde con l’ala critica verso De Laurentiis) gli ha cucito addosso. Ora il sarrismo è morto”
Un elemento per sentirsi comunque vincenti
Il Corriere dello Sport pubblica in prima pagina un commento di Angelo Carotenuto – l’autore dell’intervista a Sarri per Vanity Fair – sul “tradimento” di Sarri e su cosa lui ha significato per alcuni – la maggioranza – tifosi del Napoli. Carotenuto parte dalle parole di Insigne ma va poi al cuore al rapporto tra Napoli e il tecnico. Carotenuto parte dall’assunto che non sarebbe certo la prima volta di un passaggio – stavolta non diretto – dal Napoli alla Juventus: Zoff, Altafini, Ferrara, Higuaín.
E scrive: “il fatto nuovo non è la bandiera, la diversità stavolta sta nella militanza”.
Dentro la cornice del dominio di Allegri, Sarri è stato non solo lo scudetto di consolazione (il bel gioco), un elemento per sentirsi comunque vincenti – ma è stato con il suo benedetto sarrismo, qualunque cosa esso davvero sia, la perfetta buona novella per lo spirito del tempo della città. Con la tuta, gli slogan pop e il soprannome Comandante, Sarri è stato il simbolo più vicino al ribellismo della città dopo Maradona.
E Carotenuto cita testimonial autorevoli: il rapper Anastasio, Maurizio De Giovanni, il sindaco de Magistris.
Il brutto anatroccolo fuori dal sistema
Prosegue Angelo Carotenuto: “il sarrismo è fiorito a Napoli perché era la città con la storia e l’antropologia più adatta da incrociare, quell’ansia cioè di “fingersi luogo privilegiato”, per dirla con La Capria”.
Sarri era il perfetto brutto anatroccolo, fuori dal sistema e incontaminato, in cui rispecchiarsi per opporsi a un meccanismo inesorabile come la Juventus. Se ora Sarri sposa l’anti-simbolo di sé, cosa rimane se non un’idea di infedeltà?
E conclude:
Non è allora di Sarri, il tradimento, ma della figurina che addosso a Sarri un pezzo di città aveva cucito senza che lui abbia avuto la forza per sottrarsene. Una porzione di tifo che più o meno coincide con l’ala critica verso De Laurentiis. Chi lo aveva amato solo come straordinario maestro di calcio, si sta facendo una ragione del suo professionismo. È il resto che ora fa pensare ai suoi più convinti adepti di una volta: compagni, il sarrismo è morto.