ilNapolista

L’asilo infantile di Napoli che davvero credeva al Sarri apostolo degli ultimi

Una città che ha sentimenti da libri Harmony. Vada o no alla Juventus, se davvero siamo rapiti da storielle come il sarrismo allora ben venga il nostro tramonto

L’asilo infantile di Napoli che davvero credeva al Sarri apostolo degli ultimi
Sarri (Ciambelli)

Parliamo di amore come nei libri Harmony

Il tenore dei commenti sui possibili sviluppi sabaudi della storia di Maurizio Sarri avrebbero ingolosito il miglior Hippolyte Bernheim e tutte le più prestigiose scuole psicanalitiche di ipnosi, suggestione e psicoterapia. È irrilevante come l’intreccio tra Paratici, Sarri e Agnelli possa terminare. Chi ha un briciolo di curiosità per se stesso e per le umane vicende non può lasciar scorrere queste ore senza soffermarsi sul cuore vivo della storia che è la superficialità dei sentimenti collettivi, della città di Napoli tanto quanto di una nazione intera il cui potere immaginifico, esausto e prostrato, partorisce ormai in cronaca la Lega (la Lega!) vincente a Lampedusa.

Siamo un paese in ginocchio dinanzi a chiunque voglia depredarlo e saccheggiarlo perché abbiamo uno stadio di sviluppo della creatività e dell’immaginazione da scuola materna. Parliamo di amore e sentimenti, fermi a come se ne parlava in quei libercoli rosa Harmony che una volta circolavano negli zaini Invicta delle prime pubertà. È forse per questo che da decenni, a Napoli, si celebrano gli anniversari dei funerali degli artisti del passato e trascorrono mesi ed anni senza che si riesca a produrre una sola storia collettiva nuova ed originale, spendibile nel mondo, che riguardi la musica, la canzone, il cinema, il teatro, l’arte.

Livello di credulità patologico, noioso, smorto

Quindi, la gente davvero ci credeva. Gli intellettuali davvero ci credevano. Gli addetti ai lavori davvero ci credevano. Alla storia della presa della Bastiglia del pallone, la lotta dei campi polverosi contro tutti i soprusi dei potenti, l’homo novus che riporta dignità ai poveracci ma che la mano nera del calcio non ha perdonato derubandolo del titolo giusto. Sembra assurdo, ma nessuno ha mai pensato che questa paccottiglia emotiva da negozio di souvenir con perfetta riproduzione in vetro di gondola Made in China, è precisamente il motivo per cui basta uno con la felpa coi nomi marchiati sopra, o un altro che compare nel servizio sul rotocalco da parrucchiere con l’ennesima camicia bianca e il maglioncino girocollo a baciare castamente la fidanzatina, o l’altro ancora che si racconta guevarista dei vicoli in lotta contro i poteri forti perché noi ci si possa ritrovare fatti e finiti due ministri e un sindaco. Sfruttano tutti, banalmente, le fantasie spente e da scuola dell’infanzia di una città e di una nazione che hanno raggiunto un livello di credulità patologico, noioso, smorto.

È il caso di tornare a scuola

Ciò che è peggio è che sul controaltare si presentano i cosiddetti cinici del quartiere. Un gruppo entusiasmante di Fonzie del pallone. Quelli che “Io non ci ho mai creduto perché il romanticismo non esiste più”, o “Ma piantatela, ciò che conta è solo il business”. No, amici carissimi. Ciò che conta, abbiate pazienza, è che si stabilisca una volta e per tutte che si deve frequentare con qualche profitto la scuola. Che si ritorni a capire che bisogna studiare, leggere, discutere, magari intrattenere qualche rapporto con qualche classico, che non guasta. Evitare di pensare che l’oggi possa spiegarcelo lo scrittore di gialli che non lascerà segno alcuno o il tuttologo di turno che copre l’ospitata serale nello studio della solita presentatrice.

Per raccontare serve un talento enorme, ma per capire i racconti serve un talento ancora più gigante. Non si riesce a provare a delineare un’ immagine di Maradona se non ti chiami Emir Kustirica, ma ancor meno si capisce quella immagine se non si è studiata a fondo la storia di quel regista e della terra da cui proviene. Il calcio è un sport popolare, ma colto. Come la vita: anche lei è uno sport popolare ma con gli stupidi per scelta è impietosa. È bene che ce lo si metta tutti in testa e si esca da questa fesseria della lotta contro il radical-chic che altro non è che la rivendicazione delle generazioni dei “5 meno meno” che finiscono col fare i capi di partito.

Chi ha creduto che il sarrismo fosse davvero qualcosa, deve farsi due domande due. E chi pensa di avvelenare i pozzi sostenendo che la bellezza nel calcio non esiste più perché il suo comandante del Mazinga del bel calcio ha venduto l’anima al Generale Nero, deve farsene altre due. Se queste sono le storie che ci rapiscono, allora ben venga il nostro tramonto. Ci sarà chi avrà più immaginazione di noi, al mondo.

ilnapolista © riproduzione riservata