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Anni da cani. Un libro per rispondere a quelli che “meritiamo di più”

Diego Pugliese racconta il Napoli dal 1996/97 al 2006/07. Undici stagioni tristi ed orribili. “Chi ama non dimentica, e io non ho dimenticato”

Anni da cani. Un libro per rispondere a quelli che “meritiamo di più”

In un momento storico in cui allo stadio si rifiutano magliette simboliche invece di conservarle come cimeli ed in cui le contestazioni si sprecano, nonostante la stagione più che soddisfacente, leggere libri come quello di Diego Pugliese è come ricevere una carezza.

Napolista della prima ora, Diego ci è particolarmente caro, lo ammettiamo. Emigrato in Irlanda ormai da tanto tempo, segue il Napoli da quando aveva otto anni. Ha attraversato stagioni veramente orribili, durante le quali era lecito pensare non ci fosse alcun futuro per la squadra.

Non a caso il libro si intitola “Anni da cani”. Racconta le stagioni azzurre dal 1996/97 al 2006/07:

“Undici stagioni tristi ed orribili. Anni di lacrime, di impotenza, di cocenti sconfitte ed umilianti goleade. Anni terribili. Anni da cani”.

Anni che restano vividi nella sua memoria e che, Diego ne è convinto, hanno contribuito a fare di lui ciò che è adesso, sia nella vita che nella passione calcistica. Alla fine dello scorso campionato, per esempio, con lo scudetto quasi in tasca poi svanito nel nulla, Diego ha raggiunto una consapevolezza importante:

“Se ero riuscito a non perdere la fede dopo Ascoli e a non dubitare della mia intelligenza dopo l’acquisto di gente come Bonomi, Olive e Shalimov, potevo resistere a tutto”.

La vita non è fatta di sole vittorie ma neanche di sole sconfitte: ciò che conta è fare quello che si desidera e solo per amore.

Diego ha iniziato a scrivere ‘Anni da cani’ la notte prima dell’esordio in campionato di questa stagione, con Carlo Ancelotti in panchina, quando ancora non aveva assorbito del tutto l’emozionante cavalcata del Napoli di Sarri.

La spaccatura tra i tifosi pessimisti (“per motivi a me oscuri”, scrive) e quelli ottimisti, a cui si dichiara appartenere, lo ha improvvisamente fatto sentire vecchio e costretto ad un salto nel passato.

“Dove eravate quando il Napoli perdeva 5 a 1 a Treviso o 4 a 0 ad Ascoli? Come siamo passati dall’essere in 42mila il giorno di Napoli-Perugia in C1 all’essere poco più di 10mila contro lo Shaktar in Champion’s Leauge? Da quando ‘Vogliamo vincere’ e basta? Da quando ‘Meritiamo di più?’. Cosa è successo a quella tifoseria che applaudiva Tosto e Zanini dopo successi striminziti e adesso fischia Insigne dopo un passaggio sbagliato? Da quando l’azzurro si sta tingendo di bianconero?”.

Il libro serve anche a rinfrescare la memoria a quanti hanno dimenticato.

Diego ripercorre la sua storia da tifoso, da quando, a 8 anni, il 13 ottobre 1996, fu praticamente “rapito” a fin di bene da due ragazzi che abitavano nel suo palazzo che, d’accordo con sua madre, lo strapparono ad una domenica come tutte le altre per portarlo per la prima volta al San Paolo. Diego racconta la paura di non sapere dove lo stavano portando, ricorda quando gli coprirono gli occhi con una benda e i cori uditi da lontano. Poi la benda fu tirata via:

“Rimango impietrito. Davanti ai miei occhi c’è lo stadio San Paolo. Riconosco il posto perché l’ho visto in televisione per molte delle domeniche di cui ho memoria, tranne quelle d’estate. (…) Estate che smetterà di essere il periodo dedicato all’abbandono del sé, del dimenticare tutto quello che ci circonda, dove ogni pensiero viene cullato e poi ingoiato dal mare in cui tutti si rifugiano e bagnano per dimenticare che a breve tornerà l’inverno. Estate che sarà adesso e per sempre la lunga separazione dal mio unico amore”.

Era Napoli-Udinese. Sarebbe finita 1-1 con gol di Pecchia e Bierhoff. Nemmeno riuscì a vedere il gol: capì che il Napoli era passato in vantaggio dalle urla della gente che lo circondava, dalla terra che tremava e dagli abbracci di decine di sconosciuti.

Un libro delizioso, leggero, appassionato. Vi si intreccia il ricordo delle persone con cui Diego ha parlato di calcio nella sua giovane vita, i ricordi familiari, le prime gioie e anche le prime delusioni, la scoperta di Maradona e i libri letti sul calcio, la riconoscenza verso Igor Protti – e la sua onnipresente maglietta – e la gratitudine per Maradona.

E poi le umiliazioni, le sconfitte, la scaramanzia, il campionato 1997/98, con il peggior Napoli della storia, la tranquilla stagione di mediocrità 1998/99, la retrocessione, le prime partite del Napoli in Serie B e l’emozione per la risalita nel campionato 1999/2000, quando in panchina c’era Novellino. E ancora Naldi, Gaucci, i debiti, il fallimento, la Serie C, l’arrivo di De Laurentiis:

“Quell’uomo si professava napoletano, aveva l’accento romano ed una faccia da navigato businessman. Non puzzava di imbrogli come Gaucci, era meno volgare e pareva realmente interessato alle sorti della squadra. Disse che in cinque anni ci avrebbe portato a giocare in Europa ed io scoppiai a ridere. Dovetti ricredermi: quattro anni, una settimana ed un giorno dopo si giocava al San Paolo Napoli-Benfica e quella partita la vincemmo. Erano passati millequattrocentosessantanove giorni da quel 10 Settembre”.

Un dolce incedere in partite, episodi e racconti di vita che, oggi, sembrano lontanissimi ricordi: Cittadella, Lanciano, Teramo e il gol di Consonni.

“Se scegli di tifare per una squadra che vince poco o niente alla fine vivi meglio di quelli che vincono tutte le domeniche. Perché a noi che siamo abituati alla delusione calcistica continua, perdere l’autobus ed arrivare tardi a lavoro ci fa ridere”.

L’essere abituati alla delusione aiuta a temprarsi, scrive Diego:

“Lottiamo, ci arrabbiamo, finiamo emotivamente sotto ad un treno merci ma ci rialziamo sempre. Siamo i cultori della sconfitta, gli amanti del gesto tecnico isolato perché i nostri giocatori sono sempre stati scarsi rispetto a quelli degli altri, sorridiamo alla gente entrando in ascensore perché l’aria non ci mancherà mai come in quel quarto di finale dove eravamo sotto di due a dieci dalla fine ed abbiamo pareggiato”.

Nel libro è raccontato il conto alla rovescia nella stagione 2005/06, le partite contro Acireale, Juve Stabia, Sangiovannese, Massese. Fino a Genoa-Napoli 0-0, il 10 giugno 2007.

“La vita a volte ti regala dei momenti meravigliosi. Non ne ho vissuti tantissimi finora e molti di quelli me li ha dati il Napoli. Quella domenica però, il momento calcistico migliore dei miei primi diciannove anni me lo diede un calciatore della Triestina: Riccardo Allegretti. Il piccolo centrocampista milanese infilò un calcio di punizione alle spalle del portiere del Piacenza”.

Quel gol permise a Napoli e Genoa di salire insieme in Serie A: l’incubo era finito.

“Durante la stesura di questo libro ho rivissuto i momenti più importanti della mia infanzia e della mia adolescenza e credo di averli ricordati anche grazie alle tonnellate di partite orribili a cui ho assistito. Chi ama non dimentica ed io non ho dimenticato”.

Una ricetta, una panacea, un monito. La risposta a quelli che ‘meritiamo di più’. Poco meno di quattrocento pagine che raccontano un amore tormentato con una squadra nei suoi anni peggiori e come sono fatti i malati di pallone.

Anni da cani è disponibile su Amazon. Diego lo ha autofinanziato. Per amore. Un motivo in più, riteniamo, per premiarlo.

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