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Totti ha rappresentato una divinità, ma è De Rossi ad aver incarnato pienamente la romanità

Leggendo il libro di Manusia su DDR. Un calciatore che volentieri avremmo visto indossare la maglia del Napoli e la sua vena pulsante sotto il Vesuvio

Totti ha rappresentato una divinità, ma è De Rossi ad aver incarnato pienamente la romanità
As Roma 26/05/2019 - campionato di calcio serie A / Roma-Parma / foto Antonello Sammarco/Image Sport nella foto: striscione tifosi Roma

La dimensione totalizzante con cui viene vissuto il calcio nella Capitale, in particolare l’AS Roma, evidenzia numerosi punti di contatto con Napoli e il Napoli. Probabilmente l’unica differenza sostanziale, soprattutto in tempi recenti, è l’identità tra un calciatore e la squadra. Escludendo Maradona, il Napoli in questo trentennio e tra alterne fortune ha trovato degli uomini-simbolo, ma nessuno in grado di creare una perfetta sovrapposizione, fedeli alla locuzione Nemo propheta in patria, e la recente parabola di Insigne è un’ulteriore dimostrazione.

La Roma, invece, ha avuto la fortuna di avere in vent’anni addirittura due esempi, con le dovute proporzioni: Francesco Totti e Daniele De Rossi. Proprio a quest’ultimo è dedicato il volume di Daniele Manusia, direttore de l’Ultimo Uomo, “Daniele De Rossi o dell’amore reciproco” [66THA2ND, 18 €].

Nel ripercorrere la carriera dell’ex capitano della Roma, il rischio di scadere nella retorica – vista la stretta osservanza romanista dell’autore e il protagonista del libro – era piuttosto elevato, in realtà con grande lucidità viene descritto ciò che Daniele De Rossi è riuscito a dare ai propri tifosi, «un bene raro: la reciprocità. Non stava scritto in nessun contratto, eppure ce ne ha fatto dono. Non abbiamo solo amato la stessa cosa, la Roma, ma noi abbiamo avuto l’impressione che stavamo amando lui quanto lui ha amato noi».

Un amore assoluto, simbiotico e adolescenziale, che ha resistito alle opportunità e alle convenienze, in cui però vista la cifra di genuinità non ha lasciato adito a rimpianti. Anzi, «l’unico rimpianto è avere una sola carriera da donare alla Roma».

La storia d’amore tra Daniele De Rossi e la Roma è stata temprata nel fuoco di umilianti sconfitte – il 7-1 di Manchester e l’1-7 in casa contro il Bayern Monaco, solo per citare due esempi – e di pochi trionfi – il palmarès con i giallorossi recita un magro bottino: 2 Coppe Italia e 1 Supercoppa. Certo c’è il Mondiale del 2006, ma quella è un’altra storia con un giovane De Rossi, protagonista in negativo.

Il confine tra vittoria e sconfitta è spesso per un calciatore molto sottile, per chi come DDR non è certamente abituato a vincere, in qualche modo ci si prepara alla vittoria o ci si abitua alla sconfitta o, ancora, c’è modo e modo di arrivare secondi: «Negli anni mi sono reso conto che la vittoria non è semplice da raggiungere, che è per le persone e per i gruppi eccezionali. Ma non è neanche detto che arrivare secondi in campionato sia una sconfitta: per arrivare secondo, otto, dieci volte, devi avere vinto tante partite, lavorato tanto e seriamente. Non mi sento un vincente, ma di sicuro non mi sento un fallito, uno sconfitto».

La lucidità con cui De Rossi racconta la sua carriera, rende ancora più straordinario il suo percorso: l’eterno paragone con Totti e l’eredità carismatica, il sentimento di amore reciproco a tratti ingombrante e asfissiante, tutti fardelli che da sempre gravano sulle spalle di DDR, portati avanti con lucidità e spesso in prima linea.

Al di là degli aspetti e dei dettagli tecnici, ciò che rende speciale la fascinazione per De Rossi è la sua innata capacità, a volte sopra le righe, di trascinare la squadra ed essere leader.

Senza voler essere tacciato di eresia: Totti ha rappresentato una divinità, ma è De Rossi ad aver incarnato – nonostante i limiti tecnici e caratteriali – pienamente la romanità. E proseguendo con la blasfemia, DDR è stato un giocatore – vista anche sua passione per Maradona e la decisione di chiudere la carriera al Boca Juniors – che volentieri avrei visto indossare la maglia del Napoli e la sua vena pulsante sotto il Vesuvio.

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