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Qual è stata la sorpresa del Napoli di Ancelotti?

Ex centravanti del Napoli, Mertens ha sofferto e tanto per l’addio di Maurizio Sarri, ma è stato tenace, si è calato nel ruolo di seconda punta ed ora è l’uomo dei record di questa stagione

Qual è stata la sorpresa del Napoli di Ancelotti?

Qual è stata la sorpresa del Napoli di Ancelotti? La risposta non è semplice. Ma Dries Mertens è certamente tra i candidati. Sì, assieme a Fabian Ruiz,  ma Fabian è stata una sorpresa perché in pochi lo conoscevamo. Non è tanto stupore, è mancanza di conoscenza. Che va di pari passo con la prosopopea dell’ignorante, che di solito lo precede e sovrasta. 

Uno dei candidati resta comunque lui: Dries Mertens. E c’è anche Arkadiusz Milik. 

Ex centravanti del Napoli, Dries, che ha sofferto e tanto per l’addio di Maurizio Sarri. Che ha avuto il terrore di veder svanire, da un giorno all’altro, le due stagioni che lo hanno trasformato da panchina di lusso in centravanti iradiddio da trenta gol a stagione. 

Dries, nato laddove ha smetto di battere il cuore di Gilles Villeneuve, non l’ha nemmeno mai nascosto il suo amore per Sarei. È sempre stato sincero. Fino a rilasciare un’intervista in cui lo ha praticamente messo nero su bianco. Ha detto che no, lui non è Peter Crouch e quindi dei palloni alti non sapeva che cosa farsene. Ma era dicembre, il Napoli era a Liverpool, e nonostante avesse spodestato Milik per la Champions, sentiva il fiato del polacco sul collo. 

È rinato Dries. Perché Ancelotti le gerarchie le aveva chiarite. Milik centravanti e Insigne seconda punta. Dries se c’è spazio. Poi, però, Dries lo spazio se l’è conquistato. Milik ha tappato le prime due di Champions e la terza l’ha giocata il belga che vive nel palazzo più bello di Napoli, sicuramente in quello più letterario. A Parigi segnò la rete del 2-1, la rete che avrebbe potuto consegnare agli azzurri gli ottavi di Champions, se Di Maria non avesse tolto la ragnatela all’ultimo minuto. 

A Liverpool giocò lui. E con lui finì quella partita. Finì con l’entrata da assassino di Van Dijk. Che avrebbe forse meritato anche il rosso. Dries non giocò più quella partita. E poi arrivò Cagliari, quella punizione che Milik tirò al posto suo. Per ordine di Ancelotti. Non la prese bene. Ma, ecco il cambio di passo, ecco l’intelligenza dell’uomo e dell’atleta, Dries non mise il broncio. Cominciò a rispondere col lavoro. Prima col gol del 3-2 al Bologna, all’ultimo minuto. Anche se poi a Firenze fu indisponente da schiaffi. A due metri dalla porta appoggiò come se stesse servendo il caviale, invece di demolire la porta. 

Cominciò la sua seconda crisi. Non segnò per otto partite. Riprese a farlo contro l’Udinese e poi bissò a Roma il giorno dell’1-4. A lui si affidò Ancelotti per Arsenal-Napoli. E lui tradì, come a Liverpool. Lo fece fuori al ritorno, al San Paolo, e sbagliò. Ha terminato segnando cinque gol nelle ultime cinque partite giocate. Due reti addirittura di testa. 

In totale fanno 109, a 12 da Marek Hamsik. Ma non ha solo segnato. Ed è qui il punto. Dries, a differenza di Insigne, si è calato nel ruolo di seconda punta. Ha fornito dieci assist in campionato, dodici in stagione. Diciannove gol (solo Milik ha fatto di più, con venti) e undici assist. 

Una certezza per il prossimo anno. Uno che può ricoprire più ruoli, tutti quelli in attacco, che può andare sull’esterno. Può giocare dall’inizio e può entrare a partita in corsa. Uno che non è giovane, ha 32 anni, ma che lo scatto ce l’ha ancora. Magari un’altra stagione ad alto livello può ancora disputarla. Gli basterebbe per tentare l’assalto al record di gol di Marek. 

Gli va dato atto di essere stato tenace, di essersi rimesso in discussione. In campionato ha segnato appena due reti in meno rispetto allo scorso anno (16 vs. 18) ma ha giocato anche 750 minuti in meno. 750 minuti sono otto partite più una mezz’ora. E l’anno scorso gli assist sono stati “solo” sei, quest’anno dieci. Dries ha giocato più per la squadra, ha smesso di fare il centravanti. È stato bravo a seguire Ancelotti, pur non essendo stato innamorato di lui. Si chiama professionismo. .  

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