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Francesco Patierno: “Il Napoli di De Laurentiis è una rivoluzione dal punto di vista culturale e psicologico”

Intervista al regista napoletano: anche il tifoso deve crescere. È brutto quello che è successo Frosinone, spero che non abbia conseguenze. Questa è la miglior gestione di tutti i tempi del club.

Francesco Patierno: “Il Napoli di De Laurentiis è una rivoluzione dal punto di vista culturale e psicologico”

È il regista – tra le altre cose – del pluripremiato ‘Pater Familias’ e di ‘Naples 44’.  Nell’ultimo suo lavoro, il documentario ‘Camorra’, partendo dai filmati delle Teche Rai e dalle fotografie dell’Archivio Riccardo Carbone, racconta lo sviluppo del fenomeno camorristico dagli anni Sessanta agli anni Novanta.

Napoletano, napolista, tifosissimo del Napoli, Francesco Patierno ha accettato di darci un parere sulle contestazioni che da tempo hanno come bersaglio il Napoli e il presidente De Laurentiis.

Ha seguito la partita, domenica?

«Beh, li ho seguiti in serie C, figuriamoci adesso…».

Cosa pensa di quanto accaduto a Frosinone?

«Sono cose che fanno male non solo ai calciatori, ma a tutta la città. È un momento di svolta per Napoli in generale. La società di De Laurentiis è una rivoluzione dal punto di vista culturale e psicologico. Secondo me è come se una parte della città fosse scioccata: è come se volesse questo cambiamento ma, nel momento in cui ce l’ha, non le va bene, perché vuole continuare a vivere secondo delle modalità anarchiche casuali».

Questo Napoli è da contestare?

«La gestione di De Laurentiis è la migliore di tutti i tempi, al di là dei due scudetti che poi hanno prodotto il fallimento. Sono dieci anni che siamo in Europa, con un ranking che non abbiamo mai avuto nella nostra storia sportiva. Il Napoli è una società che si sta facendo conoscere ed è ormai valutata come competitiva. Le squadre che si trovano il Napoli davanti, hanno paura di affrontarlo. Tutto questo è il prodotto di qualcosa che è stato studiato. Poi è chiaro che il tifoso vuole tutto e che spesso non ragiona. Ma questo non va bene. Se la società e la squadra devono crescere, deve farlo anche il tifoso. Quello che è successo domenica è il segno che una parte della città – per fortuna piccola – non vuole cambiare né ragionare, pretende senza dare».

Ma cosa pretende?

«Pretende tutto e subito. È comodo non ragionare perché se ci si ferma a farlo, la pretesa cade perché non ha ragione di esistere. La verità è che ci siamo abitati a vincere. Prima, andare a pareggiare con la Sampdoria era considerata una vittoria, oggi è una sconfitta. La società ha impiantato una mentalità vincente. Prima c’era il desiderio, la speranza di vincere, ora c’è la fondata possibilità che la squadra vinca sempre, in trasferta come in casa».

Un’abitudine a vincere portata agli eccessi?

«Sì, perché ci si abitua senza ragionarci di volta in volta. Ma il tifoso non può vivere solo di passione. Un minimo di ragionamento ci deve essere, sennò non si va da nessuna parte. È come se tutto questo fosse un retaggio antichissimo di logiche da cui una parte della città non vuole uscire. Napoli, negli ultimi anni, sta mostrando un cambiamento importante. Finalmente sta diventando turistica, ha lasciato l’abbaglio della città industriale dell’800. È la prima volta che molti influencer la segnalano come città all’avanguardia, come riferimento da guardare con curiosità. Quello che è successo domenica rappresenta gli scossoni di quella parte di città che non vuole che questo cambiamento avvenga. Se quello che hanno fatto i tifosi a Frosinone dovesse spegnere l’entusiasmo di Callejon, che ha voluto portare avanti il rinnovo e che è sempre uno dei migliori in campo, e dovesse avere ripercussioni anche su altri calciatori come Mertens, che davvero è più napoletano di Insigne, allora i tifosi saranno riusciti a fare un danno importante, che può ricacciarci tutti di nuovo indietro».

Ma qual è lo scopo della contestazione, secondo lei?

«Non c’è uno scopo. Distruggere una cosa è solo un atto di violenza che nasce dalla frustrazione, dalla delusione, ma che non ha uno scopo. Se ci fosse sarebbe gravissimo, ma non c’è. L’unico scopo è allontanare i giocatori, l’allenatore, il presidente e quindi tornare a situazioni del passato che per me sarebbero incubi».

Secondo lei dietro questi episodi può esserci la camorra?

«Sicuramente. Partirei da situazioni non direttamente riconducibili a questa, ma con un meccanismo simile: i furti ad orologeria ai calciatori di qualche tempo fa, che sono smaccatamente degli attentati alla società. Per quanto la nuova camorra e le nuove mafie tendano ad inserirsi nella cosiddetta economia pulita, un’altra parte non sopporta una situazione evolutiva come questa, perché danneggerebbe la sua presenza, i suoi affari, il volume e la massa dell’organizzazione criminale. De Laurentiis secondo me è stato bravissimo: senza clamore, non ha creato ponti con gli ultrà e non si è reso ricattabile. In fondo tutte le società che l’hanno preceduto sono sempre state vittime di una parte della violenza degli ultrà. Basta guardare la Juventus: carte alla mano è stato dimostrato che ha ceduto alla logica e alla violenza degli ultrà per non avere problemi. È quello che succede con la trattativa Stato-mafia: si scende a patti con la mafia per non avere fastidi».

Cosa pensa del Flash Mob per Callejon organizzato dal Napolista?

«Penso sia importante per dimostrare che a contestare è solo una piccola parte della città. Me ne sono reso contro anche allo stadio con l’Arsenal: sono stato contento che lo stadio abbia fischiato contro i cori al presidente. Proprio per questo occorre una mobilitazione. Vorrei che l’intera città, i giornali, le persone, i vicini di casa di Callejon, tutti quanti si mobilitassero per far vedere che la città non è quella roba lì. Va fatto con molta forza. Non può essere solo una piccola ondata di indignazione: si deve dimostrare che queste cose non attecchiscono più».

Crede che ad aumentare la tensione possa contribuire il modo di porsi e di comunicare di De Laurentiis? 

«Anche De Laurentiis sta imparando, lo ha detto lui stesso. Non veniva dal mondo del calcio, non era nemmeno un tifoso. Però, attenzione: lo abbiamo visto comportarsi in maniera dura con calciatori e allenatori, ma da quando c’è un allenatore come Ancelotti, che crea un rapporto sano, il presidente è il primo che si tira indietro e riconosce ad un altro meriti che di solito si prende lui. De Laurentiis sicuramente non è perfetto però la bilancia, per me, pende in maniera clamorosa per le cose positive che ha fatto. Guardiamo gli allenatori e i giocatori che ha scelto, ad esempio. Bisogna essere intelligenti e più forti del malcontento che viene dalla passione smodata. Anche noi dobbiamo imparare. Sarebbe un peccato perdere questo treno: non solo per il calcio, ma per tutta la città. Spero che questa cosa non inneschi un meccanismo distruttivo».

Ancelotti: il fatto che sia un aziendalista è un bene o un male?

«È solo una parte della sua natura. Ancelotti è una persona molto intelligente e flessibile. È uno che non fa le battaglie contro i mulini a vento. Si adatta alle situazioni, ma sempre con grossa personalità. Ha vinto ovunque, ma ha anche preteso delle cose. Secondo me la vera prova della dimensione di Ancelotti a Napoli saranno la campagna acquisti quest’estate, i giocatori che resteranno, quelli che se ne andranno, e i risultati dell’anno prossimo. Non quest’anno. Quest’anno è stato un miracolo, dopo Sarri, riuscire a trovare quasi subito delle altre soluzioni e impiantarle su meccanismi che ormai erano diventati automatismi. È stata un’impresa: non dimentichiamolo».

 

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