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Botti: «De Laurentiis non rispetta il modo di vivere il calcio a Napoli, ignora i tifosi (o li deride). Questo dà fastidio»

Intervista al penalista, fondatore del Te Diegum: «Non è un problema di risultati. Non parla la lingua di Napoli. Lo definisco uno straordinario impresario, ma dovrebbe rispettare la nostra storia».

Botti: «De Laurentiis non rispetta il modo di vivere il calcio a Napoli, ignora i tifosi (o li deride). Questo dà fastidio»

Claudio Botti, avvocato penalista e titolare di uno studio legale in attività da un secolo, già presidente della Camera Penale di Napoli e vicepresidente nazionale dei penalisti italiani. Come avvocato non ha bisogno di presentazioni. E nemmeno come tifoso del Napoli. È stato tra i fondatori del Te Diegum, ma la sua “malattia” per il Napoli va ben oltre Maradona.

Anche a lui, volto notissimo e influente in città, abbiamo chiesto del clima di contestazione tra i tifosi e il Napoli e degli ultimi avvenimenti di Frosinone.

«Quello che è accaduto a Frosinone, il rifiuto della maglietta di Callejon è un episodio molto poco significativo rispetto all’atmosfera che si vive allo stadio e in città, atmosfera molto più opprimente. È un gesto sicuramente scorretto, ma non va enfatizzato. Si innesta in una atmosfera pesante per chi segue il calcio, che non è iniziata oggi e forse neanche con questa stagione ma viene da lontano».

Lontano quanto?

«Il problema principale alla base di tutto è la mancanza di comunicazione. Anzi l’errore di comunicazione da parte di De Laurentiis. Il presidente non ha nessuna capacità comunicativa, questo è un problema che non nasce oggi, né quest’anno. Il non riuscire a comunicare con i tifosi e quindi con Napoli, ma rivolgersi a loro con un senso di superficialità e quasi di derisione, ha creato una frattura. Non parlo della comunicazione ufficiale della società Calcio Napoli, in questo senso si stanno facendo molti passi avanti, ma di quella informale, tra l’uomo Aurelio De Laurentiis e i tifosi del Napoli. Quella comunicazione che arriva alla testa e al cuore dei tifosi. Se non si impara a comunicare, dall’altra parte si continuerà a percepire le informazioni e a tradurle di volta in volta in maniera diversa e strumentale per suffragare le proprie idee e i propri sentimenti del momento.

L’ultimo elemento è stato la gestione della partenza di Sarri. Oggi passa il concetto che Maurizio sia stato vittima del complotto ordito da De Laurentiis, quando è notizia che tutti sanno che fin da gennaio aveva preso accordi con l’Inghilterra perché voleva più soldi. Ma, qual è stato l’errore? Come sempre la comunicazione del presidente. E siccome siamo la città delle “madonne pellegrine”, Sarri è diventato la nostra “madonna pellegrina”. De Laurentiis pensava che con il nome di Ancelotti avrebbe messo tutto a tacere e per un po’ il gioco gli è riuscito ma non appena i risultati sono calati e l’atmosfera è cambiata, il tappo Ancelotti non è bastato. Non è un caso se gli allenatori più amati sono stati Mazzarri e Sarri che coprivano poco questo atteggiamento del presidente, non lo giustificavano, anzi gli andavano contro. Quando un allenatore non è in empatia con il presidente, i tifosi simpatizzano per l’allenatore. Quando Ancelotti, che è l’aziendalismo fatta persona, è diventato il cuscinetto e l’interfaccia del presidente, i tifosi hanno cominciato a contestare anche lui. Temo per quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi».

Cosa pensa che potrebbe accadere?

«Penso che più Ancelotti viene utilizzato come schermo tra città e De Laurentiis e più verrà travolto, anche lui sarà preso di mira dalla contestazione se non si sana questo rapporto».

Quindi è la città ad essere avversa a De Laurentiis, non solo i tifosi?

«Il tifo non è diverso dalla città, solo che c’è una parte della città, quella definita borghese, che si esprime con un linguaggio diverso, ma lo stato d’animo è il medesimo. E’ una città che tende a essere vittimista e pretendere senza mettersi in discussione, a cui puoi toccare tutto tranne la napoletanità».

Qual è l’errore del presidente?

«Io lo definisco uno “straordinario impresario” di un’azienda che fa spettacolo, che vive a Roma e la cui sede sportiva sta in provincia di Caserta. De Laurentiis emerge a Napoli per sbeffeggiare i tifosi senza capire che questa è una città che soffre della retorica della napoletanità. Se vuoi interagire e lavorare con questa città, devi fare i conti con questo stato d’animo per cui chiunque metta in discussione la napoletanità è nemico. Alla fine accade quello cui stiamo assistendo e che non si avvia a dirimere, perché chi mette a 30 euro una curva per Napoli-Cagliari è uno che vuole provocare e non dirimere. Basta pensare alla campagna abbonamenti non fatta quest’anno, a quelle avviate in ritardo. Il presidente non ha mai avuto un atteggiamento di affiliazione e apertura verso i tifosi del Napoli, non ricordo una sola iniziativa in questo senso. A Dimaro si rifiutava di firmare le magliette non originali ai bambini. Questi atteggiamenti non pagano, anche da parte di un tifo più consapevole o più colto o borghese, come vogliamo definirlo. Il calcio diventa una magia quando diventa appartenenza. A De Laurentiis il Napoli non appartiene né come storia, né come tradizione, ma solo dal punto di vista economico. Dovrebbe imparare a prendere per il culo i tifosi. Invece se ne frega e va avanti col suo discorso che lui ha preso la squadra quando era fallita e non aveva neanche i palloni.

L’informazione sportiva locale è un’aggravante. A Napoli c’è un palinsesto molto ricco di trasmissioni televisive e radiofoniche, ma non c’è nessun discorso di buon senso, da un lato ci sono gli schierati che difendono a spada tratta presidente e società, dall’altra i frustrati che non fanno altro che aizzare il tifoso anche per aumentare l’audience».

Il “meritiamo di più”, quindi, non è riferito ai risultati.

«No, con “meritiamo di più” i tifosi vogliono dire meritiamo altro, meritano un terreno di reciproco rispetto, un rispetto a cui è venuto meno prima De Laurentiis. Rispettare non significa venire a patti con gli ultrà o elargire biglietti gratis, ma rispettare il modo di vivere il calcio di questa città. Il vuoto allo stadio, la disaffezione è anche frutto di questa situazione. De Laurentiis deve solo imparare a comunicare con un linguaggio che tenga conto ma non dare biglietti gratis e scendere a compromessi con i tifosi organizzati, ma solo rispetto del modo di vivere il calcio di questa città»

Quindi neanche vincere il campionato potrebbe risolvere il malcontento?

«Potrebbe nascondere tutto, ma non risolvere. La vittoria mette tutto sotto la polvere, però mi sembra piuttosto complicato che si vinca l’anno prossimo perché abbiamo visto le nostre prestazioni in Europa League. Non parlo dell’Arsenal, ma contro il Salisburgo se la partita durava altri dieci minuti, ci buttavano fuori. Il calcio è fatto di giocatori, non basta il carisma dell’allenatore. Siccome non è immaginabile, anzi è stato confermato anche da Ancelotti, che il Napoli possa comprare top player, dovremmo trovare giocatori accessibili ma di grande rendimento in campo, il che è difficile».

Quale sarebbe la strada per risolvere la contestazione?

«Sarebbe più semplice se Aurelio smettesse di essere autoreferenziale e piacione, e capisse che se una persona lavora in un contesto, deve imparare a parlare il linguaggio del posto. Noi tifosi siamo degli imbecilli e vogliamo essere presi in giro, invece di avere quell’arietta da Duce, impari a prenderci in giro. Non è difficile uscire questa situazione. Ha scelto di fare calcio in una città particolare, se non vuole fare i conti con questa città ne prenda atto, non si può essere più realisti del re».

Se non se ne esce?

«È una guerra di cui pagherà le conseguenze il Napoli. Quando il presidente si sarà stancato e anche Ancelotti se ne andrà, arriverà il Gaucci di turno e finiremo male».

Ma il Napoli di De Laurentiis è una società solida che funziona, i tifosi non lo apprezzano?

«Sicuramente ma non puoi pensare di rispondere solo dando conto di quello che sei capace di fare. Uno che fa calcio, deve interagire con le persone della città. De Laurentiis invece sa che non sono i soldi dei tifosi che gli faranno quadrare il bilancio e quindi li ignora. I napoletani non sono come gli inglesi, non si può immaginare di insegnare un nuovo modello di cultura sportiva a una città che vive il calcio così in maniera carnale e viscerale da decine di anni prima che arrivasse De Laurentiis. L’idea del calcio delle bandiere, ad esempio, è una retorica del passato, ma che è molto cara al tifoso, invece lui continua a ripetere “voi stavate affogando quando sono arrivato io”, che senso ha buttarlo in faccia continuamente? Non è che le persone non apprezzano che il Calcio Napoli funzioni, solo che non vogliono essere derisi in continuazione. Si diceva “Né con lo stato né con le BR”, qui si può dire “Né con gli ultras né con De Laurentiis».

 

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