Lo scontro tra Bucci e la Procura sui tempi e i luoghi della demolizione e ricostruzione
Un conflitto pesante, che riguarda sia i tempi della demolizione/ricostruzione che i luoghi, che vede schierati da un lato il commissario Bucci e dall’altro la Procura e che non sembra di soluzione immediata.
Cozzi: “Fare previsioni adesso è scorretto”
“Capisco che il commissario alla ricostruzione debba fare il proprio lavoro, ma io non posso confermare i tempi che ha annunciato, non sarei onesto: dare per sicura una data o un’altra in questo momento è un azzardo”.
Ha detto così, scrive Il Secolo XIX, il procuratore capo Francesco Cozzi, smentendo, in pratica, il commissario Bucci, che aveva dichiarato “che il nuovo viadotto sarà fotografabile da dicembre 2019 e pronto nella tarda primavera 2020”.
Secondo Cozzi non è corretto fare previsioni sui tempi, “perché allo stato gli sviluppi sono imprevedibili: è una questione di rispetto delle vittime e della cittadinanza in generale. Mi limito a rilevare, diciamo così, che forse sarebbe meglio darsi scadenze un po’ più larghe. E poi, se le cose vanno particolarmente veloci, correggere in corso d’opera e in senso più ottimistico…”.
A lasciare perplesso Cozzi sono soprattutto i tempi annunciati da Salini-Fincantieri-Italferr: 12 mesi per la ricostruzione, “ma una volta completata la demolizione e con la piena disponibilità delle aree”. Ciò significa, scrive Il Secolo XIX, che per inaugurare il ponte nella primavera 2020 bisognerebbe abbattere e liberare tutto entro la primavera 2019: “Ecco – dice Cozzi – questo mi pare altamente improbabile, considerato che ci sarà una riunione tra periti a fine gennaio e un’udienza dell’incidente probatorio l’8 febbraio, per pianificare le attività dei mesi successivi”.
E aggiunge: “Io sarei già soddisfatto se a primavera inoltrata dell’anno prossimo risultassero demoliti integralmente i resti di ponente. Dopodiché, come ho già ribadito in più circostanze, da parte della magistratura sarà compiuto ogni passo per conciliare le esigenze della giustizia con quelle dell’amministrazione, senza scontri e con buon senso”.
I monconi rimasti in piedi a levante
Ed eccoci alla sfida sui luoghi: ponente e levante, ovest e est.
La Procura ha parzialmente dissequestrato il lato ovest del ponte, meno importante a livello probatorio e sotto al quale non ci sono case né collegamenti autostradali. Su di esso è stato dato il placet per una demolizione controllata, ovvero assistita pezzo per pezzo dai consulenti della Procura.
Non altrettanto per il versante di levante, su cui è avvenuto il crollo e su cui è ancora necessario il confronto dei consulenti per comprendere le cause della tragedia e il miglior modo di salvaguardare le prove.
La sfida della demolizione si gioca sui due monconi ancora in piedi proprio su questo lato del ponte Morandi: le enormi pile di cemento armato 10 e 11. Sono lì le prove più importanti, “il cuore delle indagini”, scrive Il Corriere della Sera.
La numero 10 è nelle stesse condizioni della 9 crollata alla vigilia del Ferragosto, “con la stessa esposizione cinquantennale alla salsedine e all’inquinamento, con gli stessi tiranti annegati nel calcestruzzo”; la 11, invece, è quella restaurata nel 1993, quando i controlli tecnici scoprirono: un “grave stato di ossidazione dei cavi interni di precompressione”, numerosi trefoli “tranciati o fortemente ossidati, con avanzata riduzione della sezione”.
All’epoca, ricostruisce Il Corriere, “venne chiamato un collaboratore di Morandi che costruì tiranti esterni, ricoperti di gomma, il dettaglio più visibile a chi passa in autostrada”. Il motivo per cui, però, 25 anni fa, si sia deciso l’intervento su un solo pilone “è un altro dei misteri di questa vicenda”.
L’assenza del piano dettagliato di demolizione
Come se non bastasse, a complicare le cose c’è anche il fatto che non esiste ancora un piano dettagliato per la demolizione. Il commissario Bucci ha proposto l’uso dell’esplosivo, che però è osteggiato dai consulenti, in primo luogo da quelli di Autostrade, perché è quello più invasivo “per quella che comunque rimane una scena del crimine, e potrebbe contaminare reperti, far sparire eventuali prove”.
Di Pietro: ci sono responsabilità politiche
“Non ho nulla da rimproverarmi. Non ho firmato io la convenzione. Leggete chi l’ha firmata e chi ha dato l’autorizzazione. Tutto ciò che dovevo dire l’ho detto al pm”. Secondo Il Secolo XIX sono queste le parole di Antonio Di Pietro appena uscito dall’interrogatorio davanti ai pm Terrile e Cotugno, durato oltre un’ora.
Di Pietro è stato ascoltato come persona informata dei fatti poiché nel 2007, quando fu siglata la convenzione tra Anas e Autostrade per l’Italia, che disciplinava la concessione per la rete autostradale, era lui ministro delle Infrastrutture.
Ma chi mise la firma alla convenzione? Lo spiega Repubblica Genova. Da una parte l’amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci. Dall’altra il presidente e legale rappresentante di Anas, Pietro Ciucci. Chi doveva vigilare sul rispetto della concessione ad Autostrade, infatti, continua il quotidiano, erano proprio gli ispettori di Anas, “anche se, in base a quanto scritto nella stessa convenzione, i poteri della società pubblica non erano per nulla stringenti, e si limitavano a verifiche sull’illuminazione, sui guard rail, e roba simile. Un qualcosa di troppo blando e nettamente sbilanciato verso Autostrade”.
Negli anni successivi alla firma della convenzione, le cose cambiarono. Nel 2012 avvenne il passaggio di consegne tra Anas e Mit. All’interno del Ministero, nel febbraio 2014, nacque la Direzione Generale per la Vigilanza sui concessionari autostradali: una struttura ad hoc dotata di poteri ispettivi. Di quale potere stavolta si tratti, per Di Pietro, è indicato “nella convenzione aggiuntiva del 2013”.
Per Di Pietro, quindi, la responsabilità non può essere soltanto di Autostrade. Lui stesso, nei mesi scorsi, ha ribadito spesso che sono il Mit e lo Stato i responsabili ultimi della vigilanza strutturale: “Se poi c’è chi si è precostituito la buona fede con sotto-norme, evitando di far sì che quei controlli fossero concreti, non dobbiamo lasciarci abbindolare”.
L’attenzione della Procura, adesso, scrive Repubblica Genova, resta puntata sui rapporti fra Autostrade e Ministero.
Non a caso, domani toccherà a un altro ex ministro dei trasporti, Graziano Delrio: durante il suo mandato è stato vagliato il progetto di retrofitting del viadotto, cioè il potenziamento strutturale approvato dalla Direzione Generale del Mit soltanto l’11 giugno scorso e i cui lavori sarebbero dovuti iniziare ad ottobre.
L’esposto di Walter Lupi
Di Pietro, ricorda sempre Repubblica Genova, non è l’unico che ha finora denunciato le presunte carenze dello Stato nei confronti di Autostrade.
Walter Lupi, alto dirigente dei Trasporti, ex commissario al Terzo Valico, in un esposto recapitato sulla scrivania dell’attuale ministro Toninelli aveva fatto il nome di una sfilza di dirigenti nominati senza concorso e senza competenze in incarichi cruciali, posizionati in ruoli chiave del ministero, anche di controllo sulle concessioni autostradali.
267 rogiti firmati
Scade oggi, scrive Il Secolo XIX, il termine fissato dal decreto Genova per firmare i rogiti delle case ed aziende sgomberate nella zona rossa, pena l’esproprio. Ne sono già stati firmati 267, due trattative sarebbero arenate.
Si tratta dei casi di una proprietaria di immobile che si trova all’estero e quello di un anziano seguito da un amministratore di sostegno che si trova a Pordenone ed è in attesa del via libera del giudice.