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Il Napoli non dovrà avere paura di vendere Mertens (e altri)

A Cagliari è cominciata una nuova fase, il dualismo in attacco è rappresentativo. Il Napoli ha saltato due sessioni di mercato, deve ripartire

Il Napoli non dovrà avere paura di vendere Mertens (e altri)
Photo Matteo Ciambelli

La selezione naturale

Il concetto di selezione naturale è stato teorizzato per la prima volta da Charles Darwin alla metà del XIX secolo, ed in qualche modo spiega come e perché gli esseri viventi hanno assunto l’aspetto che hanno oggi. In pratica, gli individui sviluppano o perdono delle loro caratteristiche nel tempo, così da adattarsi all’ambiente circostante. Traslando il tutto al calcio, il processo che Ancelotti sta incoraggiando al Napoli si avvicina molto alla selezione naturale. Ne hanno scritto in diversi, su queste pagine nell’ultima settimana: oggi Raniero Virgilio ha parlato di sana rivalità interna, ieri si è analizzato il leale dualismo tra Mertens e Milik; qualche giorno fa, invece, Fabio Avallone e Vittorio Zambardino hanno sollecitato il ricambio generazionale del gruppo storico, quello rappresentato da Hamsik, Mertens, Callejon e Insigne; tema sollevato subito dopo Liverpool da Mario Colella.

Insomma, sono tutti concetti che in qualche modo arrivano allo stesso punto. Questo: il Napoli è una squadra forte, ma la sensazione è che siamo alla fine di un ciclo. La transizione da Sarri ad Ancelotti è stata approcciata in maniera dolce, proprio per salvaguardare la forza di cui sopra. Allo stesso modo, però, non deve esserci spazio per la paura del nuovo. Anzi per la paura che il vecchio sia per forza e/o sempre meglio del nuovo. Timore che a Napoli è profondamente e a nostro avviso inspiegabilmente radicato.

Il discorso che dà l’esatta dimensione di questo concetto è quello che riguarda Mertens e Milik, ma è espandibile a tutta la squadra. Per dirla semplice: Dries è un grande attaccante, è stato ed è un simbolo del Napoli. Ma non è eterno. E l’idea di salutarlo, ora o in un domani prossimo, non deve far paura. Perché c’è Milik che sta dimostrando di poter valere quanto Mertens.

Oltre il singolo

Ripetiamo ancora, a scanso di equivoci: non diciamo che il Napoli debba vendere Mertens per puntare su Milik, allo stesso modo sosteniamo però che non sarebbe un dramma. Il calcio a Napoli non finisce, non finirebbe, non finirà senza Mertens. O senza Hamsik, senza Callejon, senza Albiol. Così come non è finito senza Lavezzi, senza Cavani, non è finito senza Higuain. Anzi, nel frattempo le cose sono sempre andate meglio. Dopo ogni addio eccellente, il Napoli è migliorato. Ha fatto un passo in avanti. Si è evoluto in senso positivo. Non è stata una pura selezione naturale, piuttosto l’applicazione sequenziale della politica di player trading che sostiene il bilancio di questa società. Ora che i conti sono sani, e che gli alfieri dell’ultimo quinquennio intuiscono il viale del tramonto, l’idea della separazione deve essere considerata. E non deve fare paura.

Non è un discorso di singolo calciatore. Queste nostre parole sono state “orientate” su Mertens-Milik ma valgono anche per Fabian Ruiz-Callejon, giusto per creare un’altra coppia. Il punto è che i buoni sentimenti che animano il gruppo del Napoli, l’unione e la coesione e l’amore di questo gruppo, non devono rappresentare un tappo per tutto ciò che è necessario alla crescita di questo club. Per la successione interna che si potrebbe concretizzare in alcune situazioni: è un discorso valido per Milik, per Ounas, per Fabian Ruiz, per Zielinski, per Maksimovic. Per tutta la nuova guardia.

E che potrebbe nascere anche sul mercato, ad esempio in caso di addio di Koulibaly. In questo momento, Kalidou non ha un erede nell’organico di Ancelotti. Ma pensare di trovarlo sul mercato, magari anche in prospettiva, non deve rappresentare una psicosi. Dopotutto, lui è arrivato dal Genk a 23 anni e il suo valore era solo potenziale. Per una strategia tecnico-tattica antieconomica, il mercato del Napoli è stato fermo per un anno. Per la seconda estate di fila, giusto l’ultima, si è scelta la strada della preservazione per rendere più dolce la planata di un nuovo allenatore. Ora, però, è il tempo di accelerare. Se Ancelotti dovesse ritenere opportuno l’addio di uno dei senatori per “promuovere” uno dei suoi ragazzi più giovani, così da riattivare il ciclo di muta di questa squadra, allora il Napoli dovrebbe assecondare questa idea. Anzi, deve assecondare questa idea.

Le parole di Ancelotti

Ieri sera, parlando a Tiki Taka, proprio il tecnico del Napoli ha spiegato come Milik sia stato “vittima” di un inizio di stagione altalenante, mentre ora è in fase di ripresa. Ancelotti sta coccolando e addestrando Milik, lo sta mettendo al centro del progetto-Napoli. In virtù di questa fiducia assoluta, di quest’attesa per il recupero di un calciatore sfortunato, il Napoli e tutto l’ambiente devono fare atto di fiducia. Nel senso: se il Napoli punta su Milik, si punta su Milik. Come per la punizione di Cagliari, così per la maglia da titolare – un concetto comunque labile nella politica di gestione del gruppo di Ancelotti.

Con lungimiranza, De Laurentiis ha acquisito un centravanti giovane che potrebbe andar bene per i prossimi cinque anni. Se per Ancelotti (Ancelotti!) è una scelta valida, bisogna insistere. Senza paura che Mertens, Callejon o chi per essi possano andar via. Si prenderanno dei sostituti, potrà andare bene come potrà andare male. Ma intanto il Napoli si rinnova in alcune sue parti fondamentali. È la selezione naturale per adattarsi al contesto.

Se Ancelotti ha scelto Koulibaly e Insigne come leader spirituali e tecnici del nuovo corso (due 27enni, non a caso), il Napoli parta da loro due e poi esplori tutte le aree circostanti. Senza timore di fare scelte impopolari, irrispettose verso il passato. Anche perché non sarebbe irriconoscenza, non si tratterebbe di cancellare o demistificare ciò che è stato. Semplicemente, c’è un tempo nuovo. Che forse necessita di un Napoli nuovo, quindi necessariamente diverso. A Cagliari abbiamo avuto un assaggio, anche radicale, di quello che potrebbe essere. Non è andata così male, per essere una prima volta.

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