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Il manager Ancelotti ha portato a Napoli la concorrenza interna

Addio al luogo dei sentimenti familiari. Spunta finalmente la rivalità intestina nel gruppo, come dimostra la reazione di Mertens al gol di Milik. E lui sovrintende e gestisce

Il manager Ancelotti ha portato a Napoli la concorrenza interna

Lezione di leadership

Carlo Ancelotti non apporterà alcuna rivoluzione al Napoli. Ed è una buona notizia. Perché stiamo assistendo ad una profonda lezione di leadership alle falde del Vesuvio – precisamente quello che ci serve, diciamo da un paio di secoli.

Il primo compito del manager di successo è: “Create clarity”, prima ancora di “Generate energy”. Il leader di un gruppo deve saper intervenire, ogni qual volta sia necessario, a render chiaro quale sia il piano, come ciascuno vi contribuisca e quali siano le aspettative riposte in ciascun componente. Quando si è alzata la voce chiara e netta dalla panchina a ristabilire quanto era deciso – la gerarchia dei tiratori dei calci piazzati – Ancelotti ha reso questo servizio in modo asciutto e pragmatico. A scegliere chi calcia è l’allenatore. Punto. Il peso della decisione è evidente: se Milik segna, si imprime una inerzia chiara al prosieguo della stagione e alla autorevolezza di chi ha deciso; se il polacco fallisce, sarà il leader a dover prendere su di sé il peso della decisione sapendone gestire ragioni e contraccolpi.

Finalmente l’odio intestino nel gruppo

Mertens, nei secondi immediatamente successivi al gol di Milik, è tra i meno entusiasti. Cova un evidente fastidio per il successo del compagno di squadra. È un risentimento non solo comprensibile ma auspicabile per il manager, il cui ruolo è per l’appunto generare questa energia e, creando chiarezza, canalizzarla al servizio della squadra. Spunta finalmente l’odio intestino nel gruppo, si sono liberati i cavalli dell’ambizione. Un rivoluzionario userebbe l’occasione per dar fuoco alle polveri, ma come per tutti i rivoluzionari il suo cammino avrebbe vita breve. Il leader calmo sa rendere i sentimenti dei propri uomini uno strumento per la vittoria – perché, ove mai qualcuno davvero pensasse che Ancelotti sia venuto a Napoli per gustare la mozzarella (ignorando che un milionario possa comprare una intera mandria di bufale per farsela produrre fresca a casa) sarebbe bene ricordargli che Mr Carlo vive dalle nostre parti per un unico obiettivo: vincere.

“Niente uomini, niente problemi”

È una visione un po’ naïf quella che crede in una rivolta interna contro i vecchi senatori, contro il passato, capeggiata dal mister. La prima regola di chi fa reset è negare sempre che ci sia alcun reset in corso. A tal proposito, basta leggere la storia della nomenclatura comunista. “Niente uomini, niente problemi” è la celebre frase attribuita a Koba, anche noto come Stalin. Gente che di reset se ne intendeva. Ancelotti è altra roba. Egli userà fino all’ultimo giorno chiunque sappia far procedere anche di un centimetro la squadra verso l’obiettivo suo e societario. Perché è nella comunione di intenti con la presidenza che si fonda il patto professionale del nostro allenatore. Il giorno in cui verrà meno questa, non ne sentiremo parlare. Leggeremo semplicemente delle dimissioni del tecnico.

Il Napoli di Ancelotti, insomma, ha smesso di essere il luogo dei sentimenti familiari. Si sta trasformando in una scuola di competizione severa ed armata (quella che in Italia si chiama, con un termine dal sapore quasi materno per la sua dolcezza, “meritocrazia”) in cui il clima familiare serve a stemperare la pressione sul gruppo attivando la fame dei singoli. Il leader calmo non farà guerra a nessuno dei suoi, né metterà qualcuno con le spalle al muro. Si limiterà a usare i primi due comandamenti del manager per adempiere all’ultimo: “Deliver success”.

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