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Il Ponte Morandi si è portato via 43 persone uccise dalla miseria umana della nostra Italia

Un mese fa la tragedia: 43 morti, 553 sfollati. Quel che è successo dopo, è stato oltraggioso. La conferenza di Autostrade il giorno dei funerali, i documenti che continuano ad emergere

Il Ponte Morandi si è portato via 43 persone uccise dalla miseria umana della nostra Italia

La Spoon River

Cristian Cecala, 42 anni, sua moglie Dawna Munroe e la piccola Kristal, di 9 anni: andavano ad imbarcarsi per l’isola d’Elba. Andrea Vittone, 50 anni, sua moglie Claudia Possetti, 48, e i due figli di lei, Manuele e Camilla, 16 e 12 anni. Tornavano dal viaggio di nozze in California: si erano appena sposati.

Bruno Casagrande, 57 anni, Alessandro Campora, 53 e Mirko Vicini, 30 anni: colleghi; stavano parcheggiando i mezzi della municipalizzata dei rifiuti in cui lavoravano, proprio sotto il viadotto. Avevano smontato da poco dal loro turno. I primi due sono stati riconosciuti subito, Mirko, invece, è stato estratto per ultimo, dopo quattro giorni dal crollo, quattro giorni in cui la madre non ha mai voluto allontanarsi dalle macerie per vegliare su di lui.

Roberto Robbiano, 44 anni, sua moglie Ersilia Piccinino, 41 e il piccolo Samuele, 8 anni: stavano andando in vacanza in Sardegna. In auto ancora i giocattoli di Samuele e l’ombrellone da spiaggia.

Alessandro Robotti, 50 anni e Giovanna Bottaro, 43: tornavano a casa dopo essere stati al mare nel savonese.

Giovanni Battiloro, 29 anni, Antonio Stanzione, 29 anni, Matteo Bentornati, 27 anni e Gerardo Esposito, 27 anni: andavano in vacanza, direzione Nizza e Barcellona.

Andrea Cerulli, 48 anni: andava al lavoro. Anche Giorgio Donaggio, 57 anni: viaggiava in direzione di Santa Margherita Ligure, per raggiungere il cantiere nautico che gestiva.

Angela Zerilli, 58 anni: andava in vacanza nel levante ligure. Aveva la patente ma non guidava per problemi agli occhi. Aveva prenotato un autista, Henry Diaz Henao, 38 anni, morto in auto insieme a lei.

Vincenzo Licata, 58 anni, camionista, morto nell’esercizio del suo lavoro. Così come Gennaro Sarnataro, 43 anni, Anatoli Malai, 44 e il suo collega e compagno di viaggio Marian Rosca, 36 anni: Marian ha lottato a lungo in ospedale, prima di arrendersi.

Axelle Place, 20 anni, era con Nathan Gusman, 20 anni, Melissa Artus, 22 e William Pouza Doux, 22 anni: erano quasi giunti all’imbarco dei traghetti per la Sardegna dove volevano andare in vacanza. Sono stati identificati solo grazie ad alcuni piercing.

Luigi Matti Altadonna, 35 anni: viveva a Genova. Quel ponte lo aveva percorso tante altre volte.

Marius Djerri, 22 anni ed il collega Edi Bokrina, 32 anni: avevano appena finito il loro turno come addetti alle pulizie e stavano tornando a Rapallo.

Marta Danisi, 29 anni e il compagno Alberto Fanfani, 32, erano in viaggio verso la Toscana. Stella Boccia, 24 anni e il suo fidanzato Carlos Jesus Erazo Truji, 27 anni: tornavano dalle vacanze.

Elisa Bozzo, 34 anni: abitava a Busalla, vicino Genova e anche lei, come Luigi Matti Altadonna, su quel ponte era passata decine di volte.

Francesco Bello, 42 anni: andava al lavoro a Pegli. Juan Carlos Pastenes, 64 anni, chef, è precipitato insieme alla moglie Leyla Nora Rivera Castillo, 48 anni e all’amico Juan Ruben Figueroa Carrasco, 68: anche loro andavano in vacanza.

Novara, Pinerolo, Campomorone, Genova, Busalla, Serrà Riccò, Firenze, Messina, Napoli, Savona, Alessandria, Agrigento, Milano, Reggio Calabria, Torre del Greco, Volla, Francia, Perù, Cile, Albania, Colombia. Tutta l’Italia, da nord a sud, colpita dalla tragedia del crollo del Morandi, insieme al sud America, all’Europa dell’Est, alla Francia.

43 vittime e 553 sfollati

Accanto alle 43 vittime, altri 553 disperati. Sono gli sfollati in seguito al crollo, 253 famiglie in tutto, gente che ha dovuto lasciare le proprie abitazioni, molte delle quali non sanno neppure se potranno mai recuperare i propri effetti personali.

Un ponte crolla e distrugge in un attimo affetti, sogni, speranze, famiglie, amori, amicizie: vita.

Ricorda, se ce ne fosse bisogno, quanto la vita dell’uomo sia un pulviscolo inutile nell’universo, di valore quasi pari allo zero.

Un ponte che magari non appartiene neppure alla nostra città, che si percorre per andare in vacanza, come è accaduto a tante di quelle persone. Come Giovanni Battiloro ed i suoi tre amici e compagni di viaggio.

È inevitabile che il pensiero vada a loro, forse i più vicini a noi perché di stanza a Dimaro fino solo a qualche settimana prima, dove aveva diviso pezzettini di giornata con parte della nostra redazione. Pensiamo a quel video postato su Instagram pochi minuti prima della tragedia: musica, risate, facce pulite e sorridenti di ragazzi che partono per un viaggio e che qualche minuto prima hanno rassicurato i genitori: “Siamo già a Ventimiglia”. Ovvero, oltre il Ponte Morandi.

Lo facciamo tutti, quando viaggiamo: “Sono a casa”, scriviamo a mamma e papà, mentre magari siamo ancora in tangenziale. Così ci sembra di rassicurarli e continuiamo a goderci il viaggio. Ma mamma e papà, stavolta, hanno sperato invano che quel messaggio fosse vero. Giovanni, Antonio, Matteo e Gerardo sono crollati con quel ponte, assieme alle speranze.

Non chiamiamolo destino

Un ponte crolla e rischia di diventare il simbolo dell’implacabile destino. Se non fosse che, stavolta, il destino assomiglia semplicemente a sciaguratezza umana: un ponte non può certo avere un cedimento strutturale per destino. Quando poi sono decine e decine tra documenti, pareri, report, interrogazioni parlamentari e varie da cui emergevano quanto meno delle “criticità” evidenti ed oggettive del ponte e in particolare degli stralli e si scopre che nessuno ha fatto niente per evitare la tragedia, allora il destino non c’entra più niente.

Nessuno ha scritto nero su bianco “il pericolo di crollo è imminente”, certo, ma bastava che qualcuno si facesse qualche domanda in più o, semplicemente, che si passasse una mano sulla coscienza prima di andare a dormire la notte.

Il Mit, che come concedente aveva il diritto e il dovere di controllare, supervisionare e chiedere accertamenti, non lo ha fatto. Il cda di Autostrade neppure, perché riteneva che si trattasse di competenze tecniche specifiche e non di questioni puramente economico-finanziarie, le uniche su cui poteva deliberare. I tecnici non lo hanno fatto, perché non ce n’era la necessità visto che nessuno ha scritto quella frase: “Pericolo di crollo”. Di fatto, il ponte, il 14 agosto, è crollato, distruggendo 43 vite.

A distanza di un mese, oggi, quel dolore sembra intramontabile.

Forse quello che più ci tocca da vicino – oltre naturalmente al numero delle vittime e alle loro storie – è che su quel ponte avremmo potuto esserci tutti, a metà agosto, diretti verso le agognate vacanze. Chi è andato almeno una volta in Francia o Spagna lo ha varcato. E questa consapevolezza, che fa di tutti noi dei sopravvissuti, quasi dei miracolati, non va via dal cuore.

Quelle 43 persone sono state uccise

Quelle 43 persone, che hanno un nome, una famiglia, un passato, una storia, e che purtroppo non hanno più un futuro, sono di fatto state uccise. Dall’inutilità della nostra burocrazia, da tutti i tecnici, ingegneri, funzionari e dirigenti ministeriali e di Autostrade che non hanno compreso o voluto comprendere o prendere posizione sulle criticità del viadotto, anche senza veder scritto nero su bianco che poteva crollare. Da chi, per anni e anni e anni non ha fatto nulla, neppure posizionare dei sensori quando gli era stato consigliato di farlo. Da chi ha atteso che succedesse qualcosa, sperando non succedesse, sperando di avere il tempo per fare dei progetti, dei lavori, delle riparazioni, senza mai fermare il traffico. Il ponte ha beffato tutti: si è lasciato semplicemente cadere.

Il post crollo è stato oltraggioso

Tutto quello che è venuto dopo, ci sembra, per molti versi, inopportuno, imbarazzante, persino oltraggioso.

Nominare una commissione di inchiesta senza valutare in modo impeccabile il passato e le qualifiche dei suoi membri che, lentamente, tra dimissioni e rimozioni forzate, sono stati costretti ad abbandonarla, è stato inopportuno.

Imbarazzante è stato constatare che ben due di esse avessero dato l’okay al progetto di restauro degli stralli e anche il numero di ingegneri, tecnici e consulenti che, negli anni, hanno avuto a che fare con Autostrade tanto da non poter essere ritenuti, oggi, imparziali, è imbarazzante.

Tenere la prima conferenza pubblica proprio il giorno dei funerali, il 18 agosto – ci riferiamo ad Autostrade – è stato oltraggioso. Dichiarare di aver voluto rispettare il dolore delle famiglie delle vittime mantenendo il silenzio e scusarsi se forse (forse) questa poteva essere stata vista come una mancanza di sensibilità, pure. Scusarsi se la gente non ha percepito la loro vicinanza è imbarazzante. “Noi abbiamo avuto la sensibilità forse discutibile di aspettare che i soccorritori soccorressero, che finisse la fase di emergenza più stretta. (…) Abbiamo avuto una sensibilità diversa, ma non era nostra intenzione urtare la suscettibilità di nessuno e se lo abbiamo fatto ce ne scusiamo”, dichiarò in quella sede Castellucci. Una sensibilità diversa: noi la definiremmo semplicemente lontana anni luce da qualsiasi barlume di sensibilità.

Anche e soprattutto alla luce di cosa scopriamo oggi e che riportiamo fedelmente ogni giorno nella nostra rassegna stampa. Documenti, report, relazioni tecniche, sms, chat, addirittura mail scambiate la notte del disastro, mentre ancora si scavava tra le macerie.

Autostrade

Giuseppe Bono, ad di Fincantieri, ride spassosamente con Giuseppe Zampini, ad di Ansaldo Energia. Sotto il Ponte Morandi, pochi giorni dopo il crollo

Ogni volta che passeremo su un viadotto

“Un Paese che non esiste”, “il nostro 11 settembre”: lo abbiamo definito così, in redazione, nelle ultime settimane. Ma forse non è corretto. Perché un Paese che non esiste sarebbe innocuo, quello in cui viviamo, invece, con la sua burocrazia, l’arrivismo, l’interesse prettamente economico che la fa da padrone e l’assoluta indifferenza verso i valori umani, verso le persone, è un Paese assassino.

“Faremo quanto nelle nostre possibilità per alleviare le loro sofferenze – aveva detto Fabio Cerchiai, presidente di Autostrade nell’introdurre la conferenza stampa, a proposito delle famiglie delle vittime. È impossibile, ormai.

Ogni volta che passeremo su un viadotto penseremo che potremmo morire. Che non contiamo nulla per questo Stato di cui siamo cittadini e per le aziende che con questo Stato fanno affari sulla nostra pelle. Hanno decisamente entrambi una sensibilità diversa. Lontana anni luce da quella di noi comuni mortali.

L’Italia, quella dei ministri come quella dei grandi gruppi economici, delle grandi aziende pubbliche e delle società per azioni invischiati a diverso titolo nella vicenda del Ponte Morandi, è quella della foto pubblicata da The Medi Telegraph, ripresa da Gli Stati Generali e oggi da Il Fatto Quotidiano, che ieri abbiamo definito di dubbio gusto, che ritrae gli ad di Fincantieri e di Ansaldo Energia che, subito dopo un sopralluogo a ciò che restava del Morandi, appena dieci giorni dopo che erano morte, schiacciate, 43 persone, si scambiano pacche sulle spalle e grasse risate. Più o meno come le risate telefoniche all’indomani del terremoto dell’Aquila perché c’era una gustosa occasione per arricchirsi piovuta dal cielo.

Sensibilità diversa anche questa, certo. Per noi solo miseria umana.

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