A poche ore dal crollo, Autostrade scrive a Cesi che risponde dimenticando il report allarmante di due anni prima e quindi assolvendo Autostrade
Due mail, un mistero. Preoccupante. Sicuramente da approfondire, secondo gli inquirenti.
Partiamo dal principio. Nel 2015, Autostrade incaricò l’Ismes, del gruppo Cesi, di effettuare uno studio sulla stabilità del viadotto. Il capo del team di ingegneri che se ne occupò era Fabrizio Gatti: “Abbiamo svolto i test e nel maggio 2016 abbiamo consegnato il report finale dove veniva specificato che erano state riscontrate ‘asimmetrie di comportamento degli stralli’ – dichiarò a fine agosto, quando fu sentito dagli inquirenti – Proprio per questo motivo avevamo sottolineato la necessità di procedere con un sistema di monitoraggio dinamico permanente. Da quel momento non abbiamo più avuto contatti con Autostrade”.
Il mistero delle mail che oggi è su tutti i quotidiani si sviluppa proprio attorno a questo report.
Le strane mail inviate la notte del crollo
Era già emerso che, nella notte tra il 14 e il 15 agosto, quella del crollo, mentre i soccorritori scavavano tra le macerie, un manager di Autostrade, Enrico Valeri, aveva contattato Ismes/Cesi per chiedere che gli fosse spedito lo studio effettuato nel maggio 2016, che segnalava, come detto sopra, forti criticità sui tiranti del viadotto.
A mezzanotte e otto minuti del 15 agosto (l’orario esatto è riportato de Il Fatto Quotidiano), una manager commerciale di Cesi gli risponde con una mail sorprendente: “A nostro avviso il ponte ha mantenuto pressoché inalterata la sua risposta dinamica nel tempo, nonostante la vetustà della struttura, il variare delle condizioni di traffico, la particolare esposizione ambientale e la severa esposizione al rischio idrogeologico dell’aria. Anche questo vecchio studio è nel nostro archivio a vostra disposizione”.
La colpa è del progetto originario
E continua: “Dal nostro punto di vista, le attività di gestione e sorveglianza del ponte sono state adeguate e svolte con la dovuta diligenza. Riteniamo piuttosto che le cause di quanto tragicamente occorso siano da rintracciarsi nel progetto originario di una struttura complessa e inconsueta e che questo possa aver generato un collasso imprevisto e non riconducibile ai parametri dell’ingegneria classica”.
Il verdetto è chiaro: la colpa non è di Autostrade ma del progetto originario di Morandi.
Eppure il rapporto di Cesi del 2016 era più allarmante e riportava il consiglio di aumentare alcune ispezioni e implementare un sistema di monitoraggio dinamico, cioè continuo, del ponte in fenomeni rapidamente variabili come vento, traffico e sisma.
I toni delle due comunicazioni sono diversi, qualcosa non torna: il sospetto è che “quella precisazione possa essere stata richiesta”, scrive La Repubblica.
Cesi prende distanza dalla sua addetta commerciale
Del resto, riporta Il Fatto, fonti Cesi-Ismes commentano: “Le parole contenute nella mail del 15 agosto, che parlano di difetti progettali e assolvono Autostrade non sono riconducibili a noi. Sono scelta del tutto personale della dipendente. Non abbiamo compiuto rilievi strutturali”.
Gli avvisi di garanzia: la posizione di Mario Servetto
Ieri son stati consegnati gli avvisi di garanzia ai venti indagati.
Tra questi Mario Servetto, professore di ingegneria civile a Genova, membro della commissione ministeriale che doveva approvare il progetto di retrofitting ai piloni. Servetto dichiara a Il Fatto che durante i lavori di approvazione non emersero elementi di preoccupazione legati alla sicurezza: “Se qualcuno ne poteva essere a conoscenza erano quelli di Autostrade”.
Eppure Servetto ammette che la commissione aveva a disposizione gli studi del Cesi e del Politecnico che sollevavano preoccupazioni: “Erano negli allegati. Il relatore li ha letti tutti, noi li abbiamo sfogliati quella mattina. C’erano molti esperti di prim’ordine ma non toccava a noi” sapere se c’erano pericoli.
Una commissione che approva un progetto di restauro dei piloni che non deve pronunciarsi sulla sua bontà e neppure sullo stato di degrado dei piloni: se pure non fosse un suo compito di legge, quantomeno dovrebbe essere un compito di coscienza.
E infatti Servetto aggiunge: “Mi sento tranquillo, abbiamo esaminato il progetto di retrofitting. Certo, da quel giorno mi chiedo, con il senno di poi, se qualcosa si poteva fare”.
Brencich: non c’erano elementi, ma non accetterei di nuovo l’incarico
Sui quotidiani, oggi, anche le dichiarazioni di Antonio Brencich, ex membro della commissione di inchiesta ministeriale sul disastro rimosso nelle scorse settimane per conflitto di interessi perché aveva fatto parte anche della commissione del Provveditorato che approvò il progetto di retrofitting il primo febbraio scorso: “Ritengo di non aver mai avuto elementi che potessero far sospettare una situazione di pericolo”.
Il Provveditorato diede delle prescrizioni precise ad Autostrade, però, pur approvando il progetto di rinforzo degli stralli: “Abbiamo dato ad Autostrade un suggerimento preciso. Quello di diagrammare la portata del ponte nel tempo. Cosa abbiano fatto non lo so”.
Autostrade non ha mai evidenziato l’urgenza dei lavori? “Mai avuto la percezione. Né numerica, né verbale tantomeno documentale. C’erano più di 20 persone presenti quel giorno”.
Se solo una di esse avesse sentito il peso della coscienza forse qualche passo in avanti sarebbe stato fatto.
La causa del disastro: stralli sbriciolati
La possibilità che la causa del disastro sia il cedimento degli stralli prende corpo anche grazie alle testimonianze di chi era sul ponte al momento del crollo, che combaciano con gli elementi acquisiti grazie ai video delle telecamere piazzate sul viadotto.
Tra le testimonianze, quella di don Davide Ricci, sacerdote transitato con la sua auto sul viadotto al momento del crollo che racconta di aver visto “gli stralli laterali del primo pilone lato ponente distaccarsi in prossimità della parte superiore, nei pressi del vertice della struttura quasi si fossero letteralmente sbriciolati. In poche parole mi è parso che la struttura degli stralli si fosse staccata sgretolandosi in piccole parti come se si stesse sbriciolando”.
Don Davide continua: “Non ne ho certezza ma la sensazione che ho avuto è che si sia lesionato dapprima lo strallo lato ponente e subito dopo quello lato levante. In pochi istanti tutta la struttura inferiore ad essi agganciata, quindi la carreggiata autostradale e quanto vi era sopra, crollava a terra. Pochi istanti più tardi infine cadeva anche il pilone centrale e quanto ad essa collegato. Ho visto scendere insieme ai pezzi del ponte anche alcuni veicoli, tra i quali ricordo chiaramente un autocarro che finiva la propria caduta nel greto del torrente Polcevera”.
I ritardi nella pubblicazione della concessione: la burocrazia paralizzata
Le concessioni sono rimaste segrete per 20 anni. L’iter seguito dalla loro pubblicazione è ridicolo quanto agghiacciante. Lo ricostruisce in maniera completa Il Fatto Quotidiano.
A dicembre 2017 il senatore M5S Andrea Cioffi, oggi sottosegretario ai Trasporti, fa un esposto all’Anac per chiedere di pubblicare le concessioni. A gennaio 2018 l’Anac scrive alla Direzione vigilanza sulle concessionarie autostradali guidata da Vincenzo Cinelli e dice che è un obbligo pubblicare tutto perché si tratta di contratti pubblici “e l’interesse pubblico è preminente”.
Ma il Mit chiede il permesso ai concessionari. L’Aiscat, l’11 gennaio, risponde picche: “Ci sono incomprimibili interessi di natura economica, commerciale e industriale”.
Negli uffici di Delrio trovano la scappatoia: rigirano la palla all’Anac e pubblicano le concessioni senza gli allegati più importanti, ovvero i piani economico-finanziari che contengono le remunerazioni degli investimenti che assicurano pedaggi sempre crescenti.
L’Anac scrive allora di nuovo al Ministero ribadendo che va pubblicato tutto e chiede di fornire “reali e concrete motivazioni per impedire la pubblicazione, visto che quelle finora elencate non stanno in piedi”.
Negli uffici di Cinelli inizia un nuovo intenso scambio con il concessionario, che sembra molto arrabbiato. Autostrade scrive due lettere, evocando il rischio che venga commesso il reato di aggiotaggio. Anac ribadisce – siamo ad aprile – che sono motivazioni ridicole.
Il ministero non ubbidisce anche se pubblicare è un obbligo di legge.
Il 2 giugno a Delrio subentra Toninelli, che torna alla carica con la richiesta di pubblicare tutto. Il 19 giugno Cinelli chiede un ulteriore parere all’ufficio Foia (Freedom of Information Act) della Funzione pubblica e la richiesta resta ferma altri due mesi. Il 21 agosto, sette giorni dopo il disastro, arriva la risposta: la questione viene riandata all’Anac, unica legittimata a decidere.
Cinque giorni dopo, Aspi pubblica il pef 2013 ma si scorda di quello del 2007. Lo stello giorno, il Mit pubblica tute le concessioni.
Una “storia emblematica della burocrazia paralizzata”, la definisce, giustamente, Il Fatto.
L’incidente probatorio
Il tribunale continua la sua ricerca di un perito specialista in ponti per l’incidente probatorio, scrive La Stampa: “Scelta difficile, poiché non è facile individuare esperti che non abbiano in passato avuto collaborazioni con Autostrade”.
Autostrade manda in pezzi il ponte di Renzo Piano
Nell’Auditorium della Regione Liguria Renzo Piano ha illustrato una primissima bozza del suo progetto di ponte: in acciaio, avrà 22 piloni alti dai 30 ai 40 metri posti a distanza di 50 metri l’uno dall’altro, 43 antenne luminose, quante sono state le vittime del crollo, 18 pilastri e, secondo il suo ideatore, durerà mille anni.
E mentre governo e regione litigano per chi dovrà costruirlo, Autostrade fa crollare anche questo.
È pura ironia, la nostra, ma nemmeno tanto: al termine della conferenza stampa di presentazione del ponte, ieri, Giovanni Castellucci, ad di Autostrade, si è avvicinato al plastico che riproduceva in miniatura il ponte ideato da Renzo Piano e lo ha involontariamente urtato facendolo crollare a pezzi. “Porta fortuna”, ha esclamato sorridendo l’archistar.