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L’addio al basket di Manu Ginobili, l’argentino che ha ribaltato il gioco

Il passaggio per l’Italia, da Reggio Calabria a Bologna, poi la magnifica epopea con i San Antonio Spurs: il ritiro di Ginobili rende più povero il basket.

L’addio al basket di Manu Ginobili, l’argentino che ha ribaltato il gioco

Dalla Pampa a Reggio Calabria

Dove si estende la Pampa e quasi tocca la Patagonia, li dove l’Oceano Atlantico fa capolino con la brezza e l’odore del sale, nasce e cresce il più grande giocatore di pallacanestro argentino di tutti i tempi. Emanuel David Ginobili, per tutti Manu. A Bahìa Blanca, sulla costa via mare verso Reggio Calabria, nello stretto, lì dove scelse di manifestarsi al mondo. Origini italiane, mancino e una garra propria della sua terra, Ginobili ha ribaltato ogni idea comune di pallacanestro moderna.

Reggio Calabria visse con lui degli anni incredibili e la Virtus Bologna lo scelse per affiancarlo ad un altro fenomeno, tale Pedrag Sasha Danilovic. Che, però, si ritirò a soli trent’anni spalancando il parquet al predestinato. All’uomo venuto dalla fine del mondo che si mise al centro del gioco con incredibile leggerezza. Da Reggio a Bologna passando per Napoli, a città della Scienza, in un evento organizzato dalla Nike dove non nascose la sua passione per la terra che fu di Diego Maradona, perché se sei argentino non puoi essere indifferente alla sua figura. Parlare di Ginobili senza passare per la letteratura è impossibile, poiché lui è un capitolo bellissimo di sport. Ed ora che ha annunciato il suo ritiro sarà difficile rivedere i suoi meravigliosi San Antonio Spurs senza quel numero venti che, nonostante l’età che avanzava. la spiegava alzandosi sulla cattedra senza problema alcuno.

La comprensione del gioco

“Non si può vedere una cosa senza comprenderla” scriveva Borges, e lui era la comprensione del gioco palesata in canotta e pantaloncini. Leggeva come nessun altro le situazioni, padrone del campo con gli occhi, sapeva sempre un attimo prima cosa fare. Capacità di anticipazione propria del fenomeno nel fondamentale dell’uno contro uno senza palla. Primo passo devastante che lasciava sempre indietro il suo diretto avversario.

Manu Ginobili era sul parquet «una guardia che attacca i flare screen, come se fosse Diego, nella bombonera del Boca, a calzettoni abbassati con cambi di velocità, che manco Gato Barbieri, sulle note alt». Parlando con un caro amico del suo addio, con un vezzo letterario è riuscito a rendere l’idea di chi fosse Ginobili ed ora che gli Spurs, la Nba, la pallacanestro mondiale apprendono il suo ritiro, tutto il movimento perde qualcosa. Ginobili ha vinto tutto ciò che c’era da vincere e l’ha fatto sempre da protagonista.

La leggende degli Spurs

Difficile pensare che il mago Popovich, coach degli Spurs, avesse creato la sua creatura perfetta senza di lui. Insieme a Parker e a Duncan, ha rappresentato la punta del triangolo della meraviglia del sistema-pop, sapendo sempre scegliere il momento per risolvere le partite con una tripla o con una lettura difensiva. Manu Ginobili è una striscia nera indelebile sul pallone a spicchi che rimbalza in tre punti del mondo, dall’Argentina all’Italia, agli Stati Uniti, sempre con la sua timida cazzimma pronta a svettare con il timbro del predestinato.

Ieri, quando ho saputo del suo comunicato ho tirato fuori dall’armadio la sua maglia numero cinque della nazionale che qualcuna mi portò da Buenos Aires cercandola in ogni angolo della città, e l’ho indossata per ringraziare chi senza dubbio alcuno mi ha accompagna da venti anni in questo bellissimo viaggio che è il gioco della pallacanestro. Gracias Manu, Grazie Manu, Thank you Manu,

Che il Basket Sia Con Voi.

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