Il calcio trema per il decreto Di Maio contro gli sponsor delle scommesse
Undici club di serie A hanno un betting partner, ci sarebbero ricadute anche sui diritti tv per la fuga delle agenzia pubblicitarie

Undici club di Serie A hanno un betting partner
Qualche tempo fa c’era stata una polemica che aveva coinvolto persino la Nazionale di calcio con il caso Intralot-Figc. Adesso la polemica sta tornando. Ma non è più soltanto dialettica, all’orizzonte ci sono i fatti. Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio vuole portare al traguardo il decreto per eliminare dalle maglie delle squadre di calcio le sponsorizzazioni di agenzie di scommesse.
Ovviamente l’universo pallone è in allarme. Come scrivono oggi Il Messaggero e Il Mattino «dei 200 milioni di euro che ogni anno il “sistema giochi” investe in comunicazione, la fetta più grossa, 120 milioni, va proprio alle sponsorizzazioni. Con il calcio a fare la parte del leone».
Sono undici i club di serie A che hanno un “betting partner”, ha scritto qualche tempo fa il sito calcioefinanza.it.
Bwin, dopo aver prestato per diversi anni il suo marchio al campionato di serie B ed aver sponsorizzato il Milan, ha deciso di affiancare l’Inter. Betfair, un altra società di scommesse, ha un accordo con la Juventus, mentre la Snai è al fianco della Roma e del Milan. Planetwin365 ha un contratto con il Napoli. Cagliari, Lazio, Sampdoria, Genova e Udinese, hanno accordi con Eurobet, il marchio presente sui tabelloni luminosi degli stadi e sui back- drop durante le interviste. Più di mezza serie A, insomma, è legata a qualche società di scommesse.
Il punto è anche un altro, ed è legato ai diritti tv. Come scrive l’agenzia specializzata Agipro, «il prodotto calcio aumenta o diminuisce di valore di pari passo con le prospettive pubblicitarie che può offrire. Se i centri media non potranno vendere spazi alle aziende del gioco legale, le grandi aziende televisive tenderanno a tagliare il budget programmato per l’acquisto dei diritti. Di conseguenza, il calcio si troverà a gestire un prodotto meno remunerativo».