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Napoli-Roma 1-2, 1988: anche una sconfitta può essere l’origine di un amore

Nel giorno in cui il Napoli si avviò a perdere il secondo scudetto consecutivo, io mi innamorai dell’azzurro. Un fulmine a ciel sereno, perché certi sentimenti sono fatti anche di sofferenza.

Napoli-Roma 1-2, 1988: anche una sconfitta può essere l’origine di un amore

Un colpo di fulmine a ciel sereno. L’Amore è sofferenza. L’amore può nascere da sofferenza. Un colpo di fulmine può far innamorare. Ma un colpo di fulmine, se ti coglie in maniera inaspettata, ti può far male. Il mio colpo di fulmine è stata una scoperta improvvisa. La scoperta di poter soffrire per quell’amore. Premetto che faccio parte di una generazione di tifosi del Napoli più che vincente.

Cresciuto tra gli anni ’80 e ’90, nella mia bacheca personale di tifoso del Napoli posso fregiarmi di due Scudetti, due Coppe Italia, una coppa UEFA (quella vera), due Supercoppe Italiane. Ma ho visto con sguardo innamorato anche il quasi record negativo di punti in Serie A, l’ umiliazione del buon Coppola, una sconfitta, a quei tempi decisiva, con la Salernitana, i lunghi anni in serie B e il calvario della Serie C, che ha preceduto la attuale rinascita alla quale assistiamo, e che ci permette di star seduti comodi comodi, sul trono di osservatori privilegiati del bel calcio.

Napoli-Roma

Sono passati poco più di 30 anni da quel 6 marzo 1988. Il Napoli campione in carica ospita la Roma allo Stadio San Paolo. Il Napoli si presentava con ben 5 punti di vantaggio sul Milan a 9 giornate dalla fine. Con i due punti per la vittoria, il campionato poteva dirsi ormai chiuso, in caso di vittoria.

Al tempo si giocava alle tre e le partite si ascoltavano alla radio. Il copione si ripeteva, come ogni domenica, sempre uguale a se stesso. Pranzo dalla nonna, mangiato in tutta fretta per non sforare, ritiro strategico di mio padre nella stanza più recondita del grande appartamento, la convocazione del suo amuleto pagano vivente (ovvero quel bambino paffuto e timido qual ero io negli anni ’80), radio accesa sull’emittente locale, e la convinzione che quell’anno, soprattutto quell’anno, con quella squadra, il secondo scudetto sarebbe stata una semplice formalità.

E così era anche il mio amore per il Napoli. Una semplice formalità. Un amore come un porto sicuro. Una punizione nel sette, uno scambio volante, un colpo di testa . Tutto era dietro l’angolo. E con esso, anche la vittoria. Mi accorsi subito, da bravo amuleto, che quel pomeriggio qualcosa non stesse andando per il verso giusto.

Pur non vedendo le immagini, capivo che il linguaggio del corpo della squadra, deducibile dalla sequenza ritmata di informazioni che provenivano dal radiocronista, era simile a quello che poi avrei riconosciuto negli scontri con le squadre minori (le famose partite con Chievo “bestia nera”, per intendersi) dei nostri recenti anni.

Non girava il Pibe, non girava Careca. Carnevale prendeva pali e Desideri salvava sulla linea. Policano era, come suo solito, indemoniato. Il Napoli si sbilanciava. La difesa non ne prendeva una. E la Roma, compreso “er Principe”, (che a me aveva sempre dato l’impressione di avere una vaga somiglianza con il bradipo: elegante e con due bellissimi occhi scuri, ma allo stesso tempo lento, lentissimo, quasi impercettibile per quanto fosse lento!) le ingarrava tutte.

Segnò addirittura un tale Oddi. Non Oddo. Oddi. Per dire.

Napoli-Roma 1-2, 1988

Quel giorno mio padre zittiva in maniera compulsiva tutti. Tutto gli dava fastidio, anche se stesso. Si portava le dita al naso in modo ripetuto e asfissiante. Io accumulavo la tensione. Da bravo amuleto me ne stavo al posto mio, infondendo ottimismo e speranza. Di sicuro il mio amore vincitore non mi avrebbe mai tradito. Di sicuro quei tre li davanti avrebbero ribaltato il destino avverso.

Nonostante gli sforzi, non si andò oltre l’1-2 . Da San Siro non giungevano notizie terribili. Il Milan di Sacchi e degli olandesi aveva rimediato un pareggio con l’allora ostico Verona (l’Hellas). Ma, al fischio finale di Agnolin, nonostante la costatazione dell’ampio vantaggio in classifica, scoppiai in lacrime. Fu un pianto torrenziale, disperato. Come se il mio amore mi avesse abbandonato.

E in effetti, dopo quella partita qualcosa si ruppe, per il Napoli. E quel qualcosa portò il Napoli a perdere uno scudetto già vinto. La storia, tra litigi e mezzi complotti, la conosciamo tutti. Ma quel giorno, tra le lacrime, forse consapevoli dell’imminente sconfitta, qualcosa nacque nel mio cuore. Nacque un amore incondizionato per quella squadra. Anche, e soprattutto nei momenti più difficili. Quel giorno, all’improvviso, in una domenica di mimose e di lacrime, un fulmine a ciel sereno mi legò per sempre a questa squadra.

Raccontate al Napolista il giorno all’improvviso in cui vi siete innamorati del Napoli, scrivete a redazione@ilnapolista.it

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