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Il calcio è Guardiola, ma è anche la Juventus

Un discorso sulla filosofia calcistica, e su come Napoli-Roma abbia riaperto il dibattito sulla «bellezza a mani vuote» del gioco di Sarri. Quando la storia e il football di oggi possono dire l’esatto contrario.

Il calcio è Guardiola, ma è anche la Juventus

Parlare con gli juventini

Ieri mattina, dopo aver letto l’articolo di Sebastiano Vernazza sulla Gazzetta dello Sportho tagliato una parte del testo e l’ho inviato in un gruppo Messenger su Facebook. I componenti di questa conversazioni sono di provenienza geografica mista, cercano (come me) di costruirsi una carriera nel giornalismo sportivo. Siamo in quattro, S. è tifoso della Fiorentina, poi ci siamo io e A. che facciamo il tifo per il Napoli e poi c’è C. che è della Juventus. Ho condiviso questa frase di Vernazza:

Gli scudetti non si vincono soltanto con la presunzione di sé. A volte servono un po’ di ignoranza e di bruttezza. Alisson e Dzeko sono stati protagonisti di prestazioni monumentali. Se hai portiere e centravanti forti, dicevano i vecchi allenatori Guardiola-esenti, il più è fatto.

Ci ho aggiunto la data e il riferimento: Gazzetta dello Sport, 4 marzo 2018. Ho ricevuto la seguente risposta: «2018 o 1918?». Me l’ha data C., che è tifoso della Juventus. Per dire.

Guardiolismo

Magari non credete a questo raccontino, ma vi assicuro che è tutto vero. Dopo abbiamo iniziato a parlare di Guardiola, di come rovesciare questi assunti, del fatto che tutti fossimo più o meno d’accordo tra noi. Non voglio tediarvi, ma vi dico solo che il pensiero del tifoso della Juventus non era molto dissimile dal mio. Che sono un guardiolista, convinto dell’idea che il calcio si faccia con le idee. Anzi, che si debba fare con le idee, in modo che queste portino ai risultati.

Insisto sul fatto che un tifoso della Juventus fosse d’accordo sulla posizione contronarrativa del calcio fatto di idee. Insisto perché è possibile che anche un sostenitore bianconero non si riconosca completamente nella retorica di sangue, merda e sudore tipica di un certo racconto della sua squadra. Probabilmente era ed è d’accordo con Paolo Condò che ha dato una lettura un po’ più profonda della situazione, appena qualche giorno fa. L’editorialista della Gazzetta, sempre sulla rosea, ha scritto: «Quando dice “Chi vuole lo spettacolo vada al circo” Allegri manca di rispetto innanzitutto a se stesso e allo straordinario lavoro che in quattro anni l’ha portato a dominare ogni aspetto del gioco bianconero, tirando fuori capolavori di efficacia tattica – è il suo tipo di bellezza».

Gusto e democrazia

Ecco, il punto è proprio questo. Da guardiolista convinto, quindi da ammiratore-per-forza di un calcio come quello di Sarri – che nasce e si costruisce su idee diverse eppure su concetti chiari e riconoscibili -, non riesco a non ammirare anche Allegri. Il suo pragmatismo, la sua capacità di gestione e compensazione rispetto a tutti gli obiettivi stagionali. In realtà ho un gusto diverso, preferisco veder giocare il Napoli, il Manchester City, il Barcellona, il Bayern o la Sampdoria. Mentre metto in secondo piano, dal punto di vista estetico, la Juventus, la Lazio, il Chelsea, il Manchester United, il Valencia.

Questo mio orientamento, però, non mi impedisce di pensare che esistano diverse filosofie. E che ognuna di questa possa essere quella giusta per vincere. A turno, ma anche non a turno. Non sono d’accordo con Vernazza quando dice che per gli scudetti ci vuole l’ignoranza. Non sono d’accordo con il Corriere della Sera, che questa mattina scrive «il cinismo vince contro la bellezza a mani vuote». Con certe posizioni così nette, non posso essere d’accordo. Per tanti motivi.

Ieri, oggi e la cultura

Non sono d’accordo perché la storia ci dice tutt’altro. Ci dice che il Brasile in Messico nel 1970, l’Ajax di Cruijff, il Milan di Sacchi e il Barcellona di Guardiola hanno vinto inseguendo e praticando un calcio di idee. Hanno vinto ovunque, queste squadre. E hanno fatto la rivoluzione. Poi non sono d’accordo perché il Manchester City, il Barcellona e il Bayern Monaco stanno dominando i rispettivi campionati. Anzi, li hanno già vinti. Non sono d’accordo perché il Napoli ha il secondo o terzo o quarto miglior punteggio nella storia della Serie A dopo 27 partite, e questo dovrebbe bastare.

Ma, soprattutto, non sono d’accordo perché un analista calcistico, un professionista preposto a fare e diffondere cultura sportiva, non dovrebbe prendere posizioni così intransigenti. Ovviamente non parliamo di pro-juventinismo, quanto di un’avversione a un certo tipo di calcio che non può più avere riscontri tanto assoluti. Che è sconfessata dagli stessi albi d’oro. Che è fuori fuoco, alla luce della storia e delle storie di cui sopra, di quelle squadre che hanno vinto ovunque, addirittura nella nostra Italia di bruttezza e ignoranza. Di quelle squadre che stanno vincendo ora, un po’ dappertutto.

Fare la rivoluzione

Secondo il mio modo di vedere, i concetti da veicolare dovrebbero essere più centrati. O meglio, dovrebbero essere più vicini a quelli espressi da Condò, secondo il quale ognuno insegue la bellezza che può permettersi (economicamente e concettualmente), ciò che vuole essere. Ecco, appunto: la scelta del Napoli non è quella dell’estetica fine a sé stessa, ma è quella di inseguire un risultato attraverso un modello di gioco che possa esaltare le qualità dei singoli.

Qualità che, fatalmente, sono inferiori a quelle della Juventus. Una squadra che gioca in modo diverso, che rispetta le proprie caratteristiche. E che ha vinto e sta vincendo, meritatamente, perché è più forte – almeno per il momento. Dai, è così semplice. È più forte come erano più forti l’Ajax di Cruijff, il Milan di Sacchi e il Barcellona di Guardiola – altrettanto semplicemente. Questo non vuol dire che vincerà per sempre, del resto il Napoli è ancora pienamente in corsa. Può ancora vincere, e se vincerà avrà fatto una rivoluzione più piccola, ma concettualmente simile a quella di Cruijff, Sacchi, Guardiola. Può ancora vincere, e se vincerà la sua forza starà soprattutto in quel gioco di Grande Bellezza che la seconda sconfitta in campionato (!) ha fatto diventare di nuovo estetismo a mani vuote. Una definizione senza memoria, storica e a breve termine. E che non rispecchia valori e tendenze del calcio attuale. Lo dicono anche alcuni juventini, per dire.

Post scriptum

E se il Napoli non vincesse?, vorreste chiedermi o vi state chiedendo. Non cambierebbe molto. Perché se il concetto è si vince con la bruttezza, il Manchester United dovrebbe essere in testa alla Premier League. E la Juventus avrebbe dovuto vincere l’ultima Champions League. Non è così. La realtà dice che si può vincere in tanti modi, e solitamente vincono i più forti. Ognuno ha la sua idea, ognuno ha la bellezza che può permettersi, che vuole essere. Ognuno può scegliere, ognuno può scrivere, ognuno può leggere. E può capire.

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