ilNapolista

«Fotografai il primo sorriso di Ratzinger, appeso a un obelisco e sotto falso nome»

Intervista a Salvatore Laporta che scattò la foto che venne pubblicata in tutto il mondo. Lo fece da precario, in equilibrio instabile e firmò col nome di suo nipote

«Fotografai il primo sorriso di Ratzinger, appeso a un obelisco e sotto falso nome»
La prima uscita pubblica di Papa Ratzinger, fotografata da Salvatore Laporta per Getty

Dopo una settimana di stop, “Dacci oggi la nostra foto quotidiana” torna sul Napolista e ricomincia dal tema dell’ultima rubrica. Oggi il professionista che ci racconterà la sua esperienza è Salvatore Laporta mio fratello. Superato l’imbarazzo che ho avuto nell’intervistarlo, lo tratto come sempre mi sono rapportato a lui in ambiti professionali, con stima e consapevolezza del suo eccellente operato. La foto di Salvatore che vedete è in tema con quelle che avete visto la scorsa settimana, quelle di Filippo Monteforte e Alessandro Di Meo. In quelle si leggevano le dimissioni, in questa l’elezione di Papa Benedetto XVI nello specifico la prima uscita pubblica per la celebrazione della Santa Messa. Una foto distribuita da Getty Images e che alcuni report dei giorni seguenti la davano come la più pubblicata sulle prime pagine dei più importanti newspaper del mondo

Salvatore è il fotografo del Corriere del Mezzogiorno ed è un socio fondatore dell’Associazione Fotografi Professionisti Kontrolab.

È d’obbligo la domanda regina della rubrica:

Come nasce questa fotografia?

«La gestazione di questa foto è abbastanza particolare, venivo da un periodo abbastanza nervoso. Questo nervosismo aveva un’origine ben precisa. Durante tutto il periodo che Papa Giovanni Paolo II aveva trascorso al Gemelli, poi la sua dipartita, i funerali e durante il Conclave con l’elezione di Papa Ratzinger, non ero mai stato convocato dalla Agenzia con cui collaboravo da diversi anni. Infatti quando arrivò la convocazione di Getty Images (che era un’agenzia concorrente) fui anche indeciso se rispondere o meno. Ma, essendo un free-lance, potevo tranquillamente accettare e rispondere positivamente alla convocazione. Avrei così inanellato giornate di lavoro garantito e sarei stato presente ad un evento storico.

GettyImages mi proponeva di andare a Roma, seguire la prima messa in San Pietro del nuovo Papa e poi tornare a Napoli in serata o il giorno seguente. Accettai e salii sul primo treno per Roma, destinazione San Pietro.

Anche se autonomamente e per tua ricerca personale, eri già stato a Roma per questi eventi. Ma non eri stato mai convocato ufficialmente da alcuna agenzia o giornale. Quindi Getty ti chiamò come jolly e fotografo in più per la prima messa?

«Sì, ebbi proprio l’incarico di essere il fotografo in più, quello che doveva muoversi più liberamente e non essere destinato alla postazione fissa».

In che senso postazione fissa? Non credo che ci si possa muovere liberamente per piazza San Pietro durante eventi del genere.

«Come postazione fissa intendevo quella nei settori adibiti alle riprese fotografiche, muniti di cavalletto e ottiche lunghe che impediscono una mobilità agile. Per ottiche lunghe intendo 1200 mm, 800mm duplicati e mostri simili (ride), ottiche di cui erano fornite le grandi agenzie, Reuters, Afp, Ap.

A me toccava un 400 millimetri che mi fornirono a Roma i cari colleghi Franco Origlia e Mario Tama, entrambi di Getty, con i quali formammo il team presso l’ufficio di Franco. Come postazione ero stato assegnato al centro della piazza sotto l’obelisco. Postazione buona, che dividevo con gli altri colleghi provvisti di ottiche più adatte alla distanza che intercorreva con l’altare.

La postazione non era male, già conoscevi il posto e le dinamiche di ripresa?

«No, era la prima volta che ero posizionato sotto l’obelisco e a differenza dei colleghi non avevo scaletti o borse rigide sulle quali salire. I fedeli erano tutti in piedi e formavano una barriera visiva tra me e il Papa alla sua uscita.

Come facesti allora?

«Con un guizzo, sicuramente dettato dalla disperazione (lo sento ridere), mi arrampico non so nemmeno io su quale sporgenza dell’obelisco e trovo un equilibrio che è poco definire precario. I miei piedi puntati su qualche sporgenza, sorreggevano il mio peso, quello dell’attrezzatura nella borsa e il 400mm F/2.8 luminoso, bellissimo, ma di una pesantezza estrema! Riesco a puntare la camera sul Papa e non lo lascio più fino a che non esce dalla mia visuale, mani alzate, teste, bandiere sventolate, tutto vedevo nel mirino, ma ero sicuro di avere una buona foto.

Immediatamente inviasti la foto e anche altre?

«Certo, subito dopo essere uscito dalla visuale, inviai foto, come fecero un po’ tutti, ci assicurammo di questa prima spedizione che documentasse il primo bagno di folla del nuovo Pontefice».

Come mai scegliesti, tra le altre, questa foto con questa espressione che poi tanti hanno pubblicato?

«Come sappiamo, l’elezione di Benedetto XVI fu accolta in modo abbastanza controverso. Molti si interrogavano sul suo buon carattere e sulla sua durezza, si scriveva del Papa “tedesco”, del suo passato ruolo al vertice nella congregazione Dottrina della Fede. Il Manifesto lo bollò come il “Pastore Tedesco”, poco si sapeva di colui il quale di lì a pochi anni dopo avrebbe fatto una scelta a dir poco rivoluzionaria nella storia del Vaticano e del Papato. Quindi quella espressione mi sembrava perfettamente calzante con ciò che avevo letto nelle descrizioni  del carattere del Pontefice.

Stesse sensazioni ebbero Mario Tama e Franco Origlia. Una volta rientrati in ufficio, mi dissero subito che questa foto avrebbe avuto moltissimi riscontri sul cartaceo il giorno seguente e così fu. Con la loro esperienza, avevano visto giusto. Io nel frattempo preparavo i bagagli per tornare a Napoli, fu una toccata e fuga, molto proficua, ma purtroppo una sola giornata».

Ora ci racconterai l’altro aspetto di questa avventura quotidiana.

«Sì, l’altro aspetto, poco simpatico, fu che dovetti usare un nom de plume, proprio per rispetto alla agenzia internazionale con la quale avevo rapporti di collaborazione continui ma che non mi aveva mai convocato per questo storico evento. Il nome era quello di mio nipote, che allora aveva cinque anni e che si sarebbe ritrovato foto con il suo nome su decine di pagine web, ma l’aspetto più grottesco si rivelò alla presentazione della fattura: i committenti volevano pagare il 5enne e non Salvatore Laporta che per la burocrazia amministrativa a Roma e in San Pietro…non c’era mai stato!»

ilnapolista © riproduzione riservata