La Nazionale ha sempre giocato male, anche peggio. Prima ne eravamo orgogliosi. Oggi ci sentiamo reietti. Ci stiamo snaturando, fino a farci picchiare dagli svedesi.
Come Adolfo Celi in “Febbre da cavallo”
Poiché apparteniamo a quella generazione che si è formata guardando film impegnati, non possiamo non cominciare con una citazione dotta. Tratta da “Febbre da cavallo”, quando il giudice Adolfo Celi in aula asserisce con tono grave che
«qui si sono oltrepassati i limiti, si sono dette cose oltraggiose per la giustizia. Si sono affermate delle assurdità, delle bugie. Per esempio, si è affermato che il tempo di 1. 15 è il record di un cavallo sui duemila metri a Tor di Valle. Ma per carità! È un falso, è la maggior frescaccia che abbia mai sentito da quando frequento gli ippodromi. A Tor di Valle il miglior tempo sui duemila metri, con handicap, l’ha fatto Marco Polo al Premio Campidoglio nel 1968. Tempo: 1. 14 e 4, dico 1.14 e 4».
Ecco, il livello raggiunto dai commenti dopo Svezia-Italia ci ha provocato la stessa reazione. Improvvisamente abbiamo scoperto che la Nazionale italiana ha sempre espresso un calcio che possiamo definire un mix tra la grande Ungheria, l’Olanda della rivoluzione culturale e ovviamente il tiqui taca creato da Guardiola.
“La peggiore Nazionale di sempre”
Abbiamo letto e ascoltato frasi del tipo “la peggiore Nazionale di sempre”, “inqualificabili”, “meritiamo di non andare ai Mondiali”. Probabilmente siamo stati distratti, ma in decenni e decenni di Nazionale noi di partite come quella giocata in Svezia ne abbiamo guardate a centinaia. Praticamente quasi tutte. Possiamo dire che raramente la nostra amata Italia ha espresso quella che oggi sembra una conditio sine qua non, e cioè il bel gioco. Dove vai, se il calcio geometrico non ce l’hai? Potremmo rispondere: dove siamo sempre andati, nel bene e nel male.
Breve avvertenza: non è un articolo con secondi fini. Ciascuno gioca a calcio come meglio crede. Guardiola come piace a lui. Sarri come piace a Sarri. Allegri come piace ad Allegri. Mazzone come piace a Mazzone. Ma è un articolo per ricordare chi siamo e da dove veniamo. Noi inteso come Italia.
Anche l’Italia di Sacchi giocava male
L’Italia ha sempre giocato partite più o meno brutte. Anche ai tempi di Arrigo Sacchi di cui al Mondiale possiamo esteticamente salvare la semifinale con la Bulgaria e sprazzi dei quarti contro la Spagna. Mentre, agonisticamente, la più bella fu senza dubbio la prova di furore messa in scena contro la Norvegia.
Che cosa sta accadendo? Sta accadendo che ci troviamo nel bel mezzo di un cambiamento culturale. L’influenza di Guardiola e del suo calcio è molto più profonda di quanto possiamo immaginare. Ha influenzato non soltanto altri allenatori (in Italia, oltre a Sarri, anche Di Francesco, Montella, per fare due nomi, sono esponenti di un calcio che per brevità definiamo propositivo), ma anche il racconto del calcio. Che qualcuno vuole sempre meno metafora della vita e sempre più un insieme di grafici, numeri e quasi conferenze colte.
Cosa si direbbe oggi di fronte a Italia-Brasile del 1982?
Chissà come inorridirebbero oggi gli esponenti del pensiero calcistico mainstream di fronte a Italia-Brasile del 1982, la summa del calcio non propositivo, la vergogna di vincere 3-2 con tre tiri in porta (in realtà quattro, uno ci venne ingiustamente annullato). Chiediamo umilmente scusa per aver esultato quel giorno. O, ancora, riguardando la semifinale tra Italia e Olanda agli Europei del 2000, la partita del cucchiaio di Totti. Diciamolo, persino la finale del 2006. L’orrore di aggrapparsi a un errore di Malouda nel ridare la palla a Henry, oppure di una paratona di Buffon su colpo di testa di Zidane, per non parlare di altre testate.
Guarda caso, tutte partite che hanno fatto la storia del calcio italiano. Nulla di nuovo, peraltro. Maestri del giornalismo quali Brera e Palumbo hanno fatto la storia con i loro duelli dialettici.
Dalle maggiorate a Jane Birkin
Il punto è che il povero Ventura si è trovato nel bel mezzo di una trasformazione culturale. Speriamo di non essere scambiati per maschilisti, se paragoniamo quel che sta avvenendo nell’assimilazione del calcio a quel che avvenne nel cinema con le maggiorate che da un giorno all’altro si ritrovarono senza lavoro. Da Silvana Mangano a Jane Birkin. Il povero Ventura – non un mago della panchina, ma nemmeno uno scalzacane – potrebbe essere Marisa Allasio.
La Nazionale di Ventura gioca male, non c’è dubbio. Come peraltro giocavano male le Nazionali degli allenatori che lo hanno preceduto. Abbiamo dimenticato o facciamo finta di dimenticare gli orrendi Mondiali giocati nel 2010 in Sudafrica con Lippi – finimmo ultimi nel girone, con due pareggi contro Paraguay e Nuova Zelanda e una sconfitta contro la Slovacchia di Hamsik – e nel 2014 in Brasile con Prandelli – terzi nel girone con una vittoria sull’Inghilterra e due sconfitte con Costa Rica e Uruguay? Prestazioni a dir poco oscene. E non vogliamo attardarci nel ricordare alcune partite dei gironi eliminatori.
Non c’era la vergogna sociale
All’epoca, però, almeno in Italia, la dittatura del guardiolismo non era arrivata. Riuscivamo a capirlo da soli – pensate, senza grafici, numeri, percentuali – che giocavamo di merda ma non c’era la vergogna sociale. Il sentirsi reietti. Tu mangia? Tu fare catenaccio? Tu buttare pallone in tribuna? Anzi, eravamo caduti nell’eccesso opposto. Eravamo persino orgogliosi del nostro non gioco. Ripetiamo, potremmo ricordare decine e decine di partite della Nazionale. Evitiamo per carità di patria. E per onestà diciamo anche che alcune belle le abbiamo persino giocate. Come la finale dell’Europeo 2000 contro la Francia, che finimmo incredibilmente per perdere. In quella manifestazione le giocammo tutte bene o benino, tranne la semifinale.
Italia di Ventura doppiamente in confusione
Questa Italia di Ventura, quindi, è doppiamente in confusione. È vittima di una confusione tattica. Ed è vittima di una confusione che potremmo definire sociale. L’Italia gioca male, malissimo, e se ne vergogna. Finendo così con lo snaturarsi completamente. E col perdere le ultime residue chance di qualificarsi.
Prima del Mondiale 1982, l’Italia giocò in Svizzera una partita orrenda. Pareggiamo 1-1 soltanto grazie a un gol di Cabrini nel finale. Bearzot venne travolto dalle critiche. Ma lui se ne fregò. Mica virò e chiamo Beccalossi, oppure Pruzzo? Andò avanti per la sua strada. Una vittoria, la sua, che cambiò per sempre il giornalismo sportivo italiano che rimediò una delle più colossali figuracce della sua storia.
La strada del compromesso è la più sicura per andare a sbattere
Ventura, va da sé, non è Bearzot. E non ha nemmeno la forza di un Conte che se ne frega di tutto e di tutti e manda in campo Giaccherini e Pellè, batte la Spagna e perde soltanto ai rigori contro la Germania campione del mondo. Ventura imbocca la strada del compromesso. La più sicura per andare a sbattere. La vecchia guardia dietro, una spruzzata di Verratti nel centro, ogni tanto Insigne perché sennò chissà che cosa dicono. L’Italia di Ventura si vergogna del proprio essere Italia. Non si spiega altrimenti la vera macchia infamante della partita di ieri sera: l’essersi fatti picchiare dal primo minuto dagli svedesi. Inammissibile per chi è cresciuto a pane e Claudio Gentile, a pane e Cannavaro.
Sembrava che all’Italia non bastasse il pareggio. No, il pareggio sarebbe dovuto arrivare anche da un’azione ben congegnata. Ci pensate che vergogna pareggiare solo grazie a un tiro da fuori di Darmian? Così siamo sconfitti in partenza. Abbiamo già perso. Ricordiamo che nel 2006 il primo e il secondo qualificato nella classifica del Pallone d’oro furono Cannavaro e Buffon. Nessuno si ricorda chi giocò attaccante in quel Mondiale. Del resto, si alternarono più o meno tutti. I punti fissi stavano dietro.
Ripetiamo, ciascuno giochi a calcio come meglio crede. Ma ciascuno rispetti sé stesso. L’Italia faccia l’Italia. Provi a segnare due gol e poi butti il pallone in tribuna. Perda tempo, come del resto fece anche Drogba nel Chelsea contro il Napoli (giusto per fare un esempio), per non parlare del biscotto tra le scandinave Svezia Danimarca. Se ne freghi dei professorini col ditino alzato. Pensi a Desmond Morris uno dei pochi professori veri che si è occupato di calcio. È l’unica chance che abbiamo di andare al Mondiale.