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Il Napoli ha scelto di non cambiare se stesso: un remake può davvero portare all’Oscar?

La squadra di Sarri ha pregi e difetti dello scorso anno: per gli addetti ai lavori è un vantaggio, può effettivamente essere così. Un’analisi su questa scelta.

Il Napoli ha scelto di non cambiare se stesso: un remake può davvero portare all’Oscar?

Sensazioni

Bournemouth-Napoli è come il film preferito dell’ultima stagione rivisto al cinema all’aperto, d’estate. Sai che la verità non è quella, ma intanto non è cambiato niente. Perché non sono cambiati gli attori, il regista, la trama. Un film non può cambiare, a meno che non si faccia un remake. Tutto è rimasto uguale, immobile. Pregi e difetti, parliamo di pregi e difetti, entrambi. Chiariamo questo, prima di cominciare questa analisi che a una prima lettura potrebbe sembrare estremamente critica, invece è solo fattuale.

Insomma, il Napoli ha scelto di preservare sé stesso. Di investire sul Napoli partendo dal capitale (alto, altissimo e bellissimo) del girone di ritorno 2016/2017. Un andamento da record, 48 punti su 57 disponibili, un gioco brillante, una qualità offensiva straripante. Quello che chiedevano i tifosi e (aspetto più importante) che ha sottolineato spesso anche Sarri: confermare tutti per ripartire lì dove eravamo rimasti.

In effetti, il Napoli visto in questo precampionato è ancora lì. Nei pregi e nei difetti, i primi mutilati e i secondi ingigantiti da una condizione fisica che non può essebre ottimale. E allora si moltiplicano e si ingigantiscono gli errori di concentrazione, si induriscono gli spigoli negativi e i limiti del gioco posizionale e di possesso (che esistono, altrimenti tutti sceglierebbero di praticare calcio solo in questo modo), si rimarcano i difetti. E ci si chiede, un po’ tutti, se sia valsa la pena di percorrere questa strada.

Il confronto con lo scorso anno

Ecco, il dubbio è proprio questo. Un Napoli che ha deciso di investire il proprio budget (nella speranza della Champions) nei rinnovi di contratto può migliorare rispetto all’anno scorso pur rimanendo uguale a sé stesso? Per farvi capire cosa intendiamo: l’estate 2016 ci aveva detto in anticipo che il Napoli sarebbe cresciuto in alternative e in gioco corale, la campagna di rafforzamento post-Higuain era stata condotta proprio per dare alla squadra una crescita praticamente sicura nel tempo. Al termine del calciomercato, sapevamo di avere un Napoli più forte. Abbiamo fatto fatica a rendercene conto, noi del Napolista l’abbiamo detto e scritto (quindi pensato) più spesso di altri, alla fine è andata così. Se anche Sarri lo avesse capito in anticipo, probabilmente la stagione avrebbe potuto riservare piacevoli sorprese.

Quest’anno, la percezione è diversa. Perché Mario Rui e Ounas non spostano gli equilibri, non possono portare e portarci a pensare a un upgrade reale di questa squadra dal punto di vista dell’organico. Certo, probabilmente sono più forti – perché più funzionali al progetto – rispetto a Strinic e Giaccherini, ma il Napoli vero è un’altra squadra. Sostanzialmente invariata, nel modo di stare in campo e nell’espressione calcistica, rispetto all’ultimo anno. L’esatto contrario rispetto a quanto successo dodici mesi fa, quando il rinnovamento si impose e seppe imporsi (col tempo).

Non parliamo di stagnazione

Ripetiamo ancora: il Napoli ha deciso di comportarsi così in sede di costruzione della nuova squadra. Rinnovo dei contratti e attesa (del preliminare) per completare o ampliare l’organico di Sarri. Nessuna cessione che avrebbe consentito di investire. Lo stesso tecnico è stato sicuramente decisivo in questa scelta, ha avuto e visto, nei suoi ragazzi, la consapevolezza e (perché no) anche la presunzione di poter fare meglio dello scorso anno. Rimanendo la squadra dello scorso anno. È un azzardo, ponderato e accuratamente preparato, con un margine di errore più basso rispetto alla rivoluzione di mercato, questo sì.

Le voci di dentro – calciatori, allenatori – e gli analisti realisti e oggettivi hanno letto e giudicato questa scelta in maniera positiva. Una delle frasi più comuni lungo quest’estate è stata “il Napoli parte avanti perché è una squadra che si conosce e gioca a memoria”. Questa non è stagnazione, ma preservazione. Perché nessuno ha fatto meglio del Napoli, lo scorso anno, da un certo punto in poi. E perché, al di là delle frasi fatte, anche la stessa Bournemouth-Napoli, dal “copione simile”, è uguale a partite che sono lontane dalla memoria. L’ultimo pareggio ufficiale del Napoli è quello di Sassuolo, match simile a quello di ieri. Per trovare un’altra partita storta contro un avversario abbordabile bisogna andare a Napoli-Atalanta, addirittura sette partite di campionato prima. Il Napoli ha perso otto volte in tutto, nella scorsa stagione: Juventus, Real Madrid e Atalanta in due occasioni; Roma e Besiktas. Un rendimento più che accettabile, in un’annata da 50 partite totali

Quindi, come dire: è giusto che il Napoli abbia deciso di ripartire da un collettivo in grado di esprimere un certo gioco e di conseguire certi risultati. Ma basterà per raggiungere il massimo obiettivo? Oppure, diciamola meglio: quale può essere l’obiettivo di una squadra che ha mantenuto inalterato il proprio essere?

Gli altri e sé stessi

Ecco, a questa domanda non possiamo rispondere con certezza. Perché dipenderà anche dagli altri, e qui parte probabilmente il discorso definitivo sulla faccenda. L’idea del Napoli, di Sarri e dei calciatori, è stata quella di provare a crescere ancora senza smarrire neanche una certezza. Realisticamente, l’idea di base potrebbe essere quella di raggiungere di nuovo quota 84 (media tra gli 82 del 2016 e gli 86 del 2017) in campionato e di provare ad andare avanti nelle coppe. Il Napoli vecchio/nuovo può ambire a questo traguardo, ha le potenzialità giuste per arrivare a certe cifre.

A cosa porteranno queste cifre? Qui il discorso diventa duplice. Perché dipende dagli altri, ma anche da noi. Se la Juventus conferma certi standard, un Napoli ottimo ma non eccellente non può pensare di avvicinarsi davvero al titolo (i cinque punti di distacco finale a maggio 2017 sono leggermente addolciti dalla frenata sul traguardo della squadra di Allegri). L’obiettivo vero, proprio per questo, deve essere quello di crescere ancora. Migliorando il rendimento difensivo e la concentrazione lungo tutti i 90′, ad esempio; costruendo delle alternative di gioco, che non vuol dire cambiare modulo, posizioni in campo o modo di attaccare la porta, quanto aggiungere variabili diverse a un modello ben oliato, pericoloso e spettacolare. Pensiamo a Milik e Rog, pensiamo a un upgrade di Maksimovic. Pensiamo a “sporcare” un po’, in senso lato, un sistema che altrimenti rischia di diventare ripetitivo, per quanto difficilissimo da bloccare o da fermare.

Dettagli

Sarri l’ha detto spesso: siamo arrivati al punto che i dettagli diventano fondamentali, perché tutto il resto è fatto e costruito bene e quindi la differenza sta nelle piccole cose. Un Napoli che non può prendere top player e ha deciso di rinforzarsi dall’interno (e con acquisti molto laterali) ha la necessità di crescere sotto questi punti di vista. Proprio quelli che hanno portato al pareggio di ieri, perché il dominio del primo tempo non è casuale. Purtroppo, non lo è neanche il down della ripresa – al netto della condizione fisica. Il Napoli di oggi è lo stesso, bellissimo film di ieri. Anzi, Sarri e i suoi stanno provando a scrivere un remake. È successo che alcune operazioni del genere abbiano portato all’oscar. Ma bisogna fare ancora meglio del primo esperimento, necessariamente. 

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