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L’addio di Dani Alves è una grande sconfitta culturale della Juventus

La Juventus non ha saputo assorbire la rivoluzione del brasiliano: la cultura del gioco offensivo, l’idea di abbandonare la retorica del cuore, della difesa

L’addio di Dani Alves è una grande sconfitta culturale della Juventus

Una storia strana

La storia di Dani Alves con la Juventus è stata tutta strana, particolare. Fin dall’inizio. Il brasiliano è uno di quei parametri zero che, in Italia, possono andare solo alla Juventus. Stipendio altissimo, grande pedigree internazionale, doti di leadership riconosciute. L’inizio un po’ claudicante, poi la resurrezione di primavera. Infine, l’addio. Nella retorica juventina, tutto si può leggere con la lente non deformante delle prime pagine di Tuttosport. Sopra, quella di oggi. Sotto, quella in cui Dani Alves veniva definito «Il giocatore più vincente d’Europa».

Vincere non può essere l’unica cosa che conta

Ecco, smentiamo subito l’assioma tatuato sulla pelle della Juventus. Se ti chiami Dani Alves, vincere non è l’unica cosa che conta. Non può esserlo. C’è un come, che distingue e fa distinguere le cose. Dani Alves lo sa, ha fatto parte della squadra che ha semplicemente rivoluzionato il calcio mondiale nell’ultimo decennio. Ne è stato protagonista principale, attore fondamentale, non era una controfigura.

In questo pezzo parliamo di pura cultura del gioco, non delle polemiche social. Quelle, secondo noi, sono solo una conseguenza di una rottura che Dani Alves aveva già percepito, preparato, ideato. Perché è arrivata la telefonata di Guardiola che gli offriva soldi ed un certo calcio. Quel calcio che alla Juve non era possibile, proprio culturalmente.

Questa è la nostra opinione. Una situazione ben visibile, fin da quando la Juventus ha affrontato il Monaco. Per vincere, Allegri ha annacquato la sua rivoluzione tattica e ha rispolverato Barzagli. Dani Alves è diventato esterno alto, e che esterno verrebbe da dire. Bravissimo, decisivo, fondamentale. Una modifica tattica in senso utilitaristico, che ci può stare. Ma non se ti chiami Dani Alves, però. Un passaggio che alla Juve non hanno capito.

Il messaggio

Dani Alves ha vinto scudetto e Coppa Italia, ma la Juve ha lasciato che andasse via. Non ha insistito sulla rivoluzione di cui il brasiliano è stato portatore. Non è una questione  di forza del giocatore, quella è importante ma diventa secondaria rispetto al messaggio. Il messaggio che passa ora, in questo momento, è che la Juventus sta rescindendo il contratto di uno dei laterali offensivi più forti degli ultimi anni e sta tenendo in organico Lichtsteiner. Potrà prendere De Sciglio, è l’ipotesi più probabile. Potrebbe arrivare anche Bellerin, ma nessuno ha la portata narrativa e il significato di Dani Alves. Che, per carisma e dimensione tecnico-tattica, sarebbe dovuto diventare il Lichtsteiner con un terzino giovane da svezzare sotto la sua stella. Una stella offensiva. Bellerin, ma anche Lirola. Qualcosa di coraggioso, che rompesse gli argini come aveva già fatto Dani Alves.

La Juventus non ha saputo assorbire questo tipo di cultura. La cultura della tecnica e della ricerca del risultato attraverso un atteggiamento audace, coraggioso e non protezionistico. Un sistema di significati che basta per vincere, in Italia, quando sei la squadra più forte. Quello che succede da un po’, perché la Juventus è davvero la più forte. Quello che invece non basta in Europa, e quindi non basta a Dani Alves. Fateci caso: la Juve è arrivata in finale di Champions quando ha saputo derogare per qualche partita dai suoi principi speculativi. Il 2015, il 2017. Poi ha perso, perché gli avversari (Barcellona e Real) erano più forti. Ma ha fatto vedere qualcosa di diverso. Di diverso dalla Bbc e basta,, dal cuore, da quell’idea che la forza bruta e maschia possa bastare, sempre.

Conseguenza

È una nostra interpretazione, ci mancherebbe. È quello che voleva dire proprio Dani Alves quando è iniziata la sua exit strategy, le parole su Dybala. C’è qualcosa di più, di scudetto e Coppa Italia, quando sei una squadra davvero forte. È quello che Dani Alves voleva far capire, poi magari ci ha rinunciato. Per Guardiola, per i suoi soldi, per la sua offerta di rivoluzione del gioco che non si esaurisce mai. Nessuno, qui, pensa che Dani Alves sia nobile. E nessuno crede che questo indebolirà la Juve.

È solo che da una squadra così forte ci si aspetta il salto definitivo nel futuro. Che non vuol dire pensionare la Bbc e offrire un biennale da nove milioni a Dani Alves. Vuol dire provare a vincere come hanno fatto Real Madrid e Barcellona, proprio contro la Juve. Idee di gioco, tecnica, cultura offensiva. Una cultura vincente che accetti un terzino destro che attacca, contemporaneamente a quello sinistro. Come Alex Sandro, come Carvajal e Marcelo; come Sergi Roberto e Jordi Alba, come Lahm e Alaba. Le squadre che hanno vinto le ultime Champions League.

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