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Napoli sa tifare per la Nazionale solo quando il Napoli non va bene

Napoli sa tifare per la Nazionale solo quando il Napoli non va bene

Una settimana a Italia-Belgio, a un campionato Europeo che vede gli azzurri iniziare da vicecampioni uscenti. Eppure, molto dietro a tante altre Nazionali, forse come mai prima d’ora. Una di queste è proprio quel Belgio che Conte si ritroverà davanti per il suo esordio con vista sull’addio, una situazione tutta nuova per un commissario tecnico dell’Italia. In tutto questo, Napoli si prepara a modo suo all’appuntamento. E io, da sempre tifoso del Napoli e della Nazionale – in rigoroso ordine di importanza, pure questo da sempre -, non sento ancora nulla, inteso come tensione, attesa o partecipazione, nei confronti dell’Italia.

Comincio dicendo che non ho conoscenze approfondite della storia dell’Unità d’Italia, delle teorie neoborboniche, delle disparità storica di trattamento Nord-Sud. La mia è una disamina prettamente calcistica, che nasce da un’analisi dei fatti, da quanto visto nel corso degli anni. Un’opinione quasi personale. Certo, non posso trascurare un discorso identitario che a Napoli, indubbiamente, esiste. Ed è molto forte, da sempre. Napoli non si riconosce italiana, o profondamente italiana, perché non si sente tutelata dal potere statale e centrale, esattamente nello stesso modo in cui si sente odiata da tutto il resto della Penisola. Eppure, più che differenze, quelle che viviamo in questa città sono delle distorsioni, addirittura delle amplificazioni rispetto alla realtà dell’Italia “media”. Per spiegare cosa intendo, vi rimando a un pezzo pubblicato da Rivista Undici (questo) e firmato da Tim Small, che parla di calcio e non solo in riferimento a Napoli e al Napoli.

Da qui e detto questo, si ritorna al calcio. Anche perché, esattamente come succede a me, credo che una buonissima quantità di tutti coloro che sostengono di “non tifare per l’Italia” non abbiano una cultura così profonda della Questione Meridionale. Quindi, in qualche modo, il sentimento anti-Nazionale è legato fondamentalmente al calcio. Ho detto la prima cosa che mi renderà impopolare, sono pronto a dire la seconda: io credo, esattamente come sta succedendo a me, che il tifo per l’Italia sia complementare a quello per il Napoli. Nel senso che riempie un buco, che occupa uno spazio. È una questione di ere calcistiche, soprattutto. Il tifoso napoletano tiene per l’Italia “a fatti suoi”, come si dice dalle nostre parti. Al di là dell’affezione che cresce durante il torneo, a Napoli come in tutto il resto d’Italia (quanti spettatori in meno avrà avuto Italia-Croazia dell’ultimo Europeo rispetto al match contro la Germania, semifinale dello stesso torneo?), basta riavvolgere il nastro della storia per capire cosa intendo. In due grandi momenti storici Napoli e la Nazionale sono stati davvero nemici: oggi e ai tempi di Maradona. Ovvero, i due periodi più “belli”, calcisticamente parlando, nella storia del club partenopeo.

Prima e in mezzo a questo periodo, è vivo il ricordo di un San Paolo sempre pieno per l’Italia: il quarto di finale e la semifinale dell’Europeo 1968, la partita decisiva per la qualificazione a Mexico 70 (il gol di Riva a volo d’angelo contro la Germania Est), i match di qualificazione dei primi anni Ottanta, poi quelli determinanti degli anni Novanta (Italia-Polonia 3-0 e il ritorno dello spareggio per i Mondiali del 1998 contro la Russia) fino alla prima partita ufficiale da Campioni del Mondo, nel settembre del 2006. Tutti anni, rileggeteveli e fateci caso, in cui il Napoli non stazionava ai vertici del campionato. O al massimo, come alla fine dei Sessanta, studiava da grande.

Ora non voglio dire che sia per tutti così, preché generalizzare e fare di tutta l’erba un fascio è sempre sbagliato. Però Napoli sa anche tifare Italia. Nel 2006, infatti, la città intera esplose di fuochi e felicità al rigore di Grosso. Caroselli, gente in strada e in festa, bagni nelle fontane. Non c’è modo di misurare, di confrontare l’entusiasmo napoletano rispetto a quello di altre città italiane. Di certo qualche meridionalista convinto sarà rimasto a casa o avrà tifato per la Francia, coerente con quanto ammesso. Però, dire che Napoli accolse male quella vittoria è voler dare una lettura distorta, non conforme alla verità. A tutt’oggi, quella resta la mia gioia sportiva più grande insieme alle due Coppe Italia vinte dal Napoli e viste dal vivo all’Olimpico di Roma.

Oggi, però, mi sento anch’io meno coinvolto rispetto a prima. Chissà, forse è veramente tutto legato alla condizione del Napoli, alla sua forza del momento. La squadra azzurra (partenopea) si è appena giocata uno scudetto, disputando il quarto massimo quinto miglior campionato della sua storia. E all’Italia, quasi di conseguenza, faccio fatica ad affezionarmi. A questo, parlo a titolo personale, ci aggiungo anche un contesto, inteso come Nazionale, non propriamente simpatico. Conte è uno dei migliori allenatori italiani se non il migliore, ma non ha dato in passato grandi motivi affinché un tifoso possa identificarsi in lui. L’aveva dato agli juventini, che poi in qualche modo l’hanno a loro volta abbandonato. È finito sulla panchina della Nazionale, era la scelta perfetta. Però poi ha trattato malissimo questo incarico, finendo per accettare il Chelsea senza battere ciglio, rendendo pure pubblica la cosa. Non proprio una condotta da leader nazional-popolare, roba difficile da digerire anche se “il calcio è cambiato”, “dobbiamo capire che contano solo i soldi” e cose così. Poi c’è la storia dell’idiosincrasia verso i calciatori del Napoli: più che il caso-Jorginho o la resistenza (successivamente crollata) verso la convocazione di Insigne, credo che sia quantomeno discutibile aver portato agli Europei Zaza e Immobile piuttosto che Gabbiadini. Anche questo, forse inconsciamente, guida il mio spirito verso questa Nazionale. Anche se poi so già che guarderò le partite, e imprecherò a ogni errore e spererò per ogni possessi.

Quindi, come dire: non so ancora come mi approccerò all’Italia. E credo che questa sia un’indecisione in qualche modo legata al mio essere napoletano. Una cosa che è cresciuta insieme alla mia squadra del cuore, che prima non potevo neanche immaginare. Prima, l’Italia era un appuntamento biennale da attendere con trepidazione e da “sentire” in maniera forte. Forse, proprio perché era l’unica possibilità di far festa grazie al calcio. Oggi, invece, la città sogna grazie al Napoli. Non anche, ma soprattutto grazie al Napoli. Solo dopo, arriva l’Italia, oppure non arriva proprio. Ognuno avrà i suoi motivi per pensarla così, tutti da rispettare e non giudicare. Ma la storia e i numeri dicono che Napoli non la pensa in maniera molto diversa dal sottoscritto.

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