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Islanda, Ungheria e la madre dei Xhaka, storie dell’Europeo a 24 squadre

Islanda, Ungheria e la madre dei Xhaka, storie dell’Europeo a 24 squadre

Slovacchia-Russia è finita. Una buona partita, divertente da vedere. Niente di clamoroso, nessuna riedizione in chiave mittleuropea di chissà quale sfida infuocata tra Brasile e Argentina. Per carità, non esageriamo. Però, in un Europeo, ci sta. In tutte le anteprime di questa kermesse, la paura era che match come questi potessero rivelarsi “riduttivi” per un contesto così importante. Cioè, per dirlo in soldoni, che le squadre in gara potessero essere troppo scarse per un torneo tanto prestigioso.

Invece non solo non è andata così per Slovacchia-Russia, ma non è andata così praticamente mai. Anzi, sono state le piccole a mettere paura alle grandi, a vivacizzare la competizioni. Come del resto spesso capita all’inizio dei grandi tornei. Persino il big match della prima giornata, tra una favorita e una pur grande outsider, si è concluso con una vittoria di quest’ultima. Sì, parliamo dell’Italia che (stra)vince contro il Belgio. Probabilmente qualcuno obietterà che queste sono le partite di un Europeo, competizione che a sedici squadre sembrava aver trovato il suo equilibrio strutturale. Ci voleva Platini, con le sue attenzioni per i voti dei piccoli, per cambiare le cose. Alla fine ha avuto ragione lui. E lo abbiamo già scritto in questo pezzo in cui si sottolinea il successo economico dell’operazione “Europeo Extralarge”. Un aumento dei ricavi del 41%, combinato con un generale piacere collettivo nel guardare anche Austria-Ungheria, ci dice che quella dell’ampliamento dei quadri è stata la scelta giusta. Anche perché non avremmo potuto assistere a storie belle come quelle che seguono. O almeno, non a tutte. Le avrete già viste ovunque, ma raccontiamole che sono bellissime.

L’Ungheria esiste ancora

La nazionale magiara non si qualificava a una grande manifestazione dal 1986, a un Europeo dal 1972. Ha esordito in una partita dal considerevole valore storico, contro una squadra dal potenziale decisamente più alto. Basti pensare che il solo David Alaba, mettendo insieme valutazione del cartellino e stipendio, riesce ad acquistare quasi tutti i 23 convocati dal ct Storck. Eppure, vincono i piccoli. Persino meritatamente, attraverso un gioco di scambi bassi in contropiede che, sulla carta, non poteva appartenere a una Nazionale così deficitaria dal punto di vista tecnico, specie se contrapposta a un avversario che ha stupito tutti nelle qualificazioni (secondo miglior rendimento dopo l’en plein dell’Inghilterra con 9 vittorie su 10).

Ora, ovviamente, bisogna vedere se la favola prosegue. Eppure, il geniale sorteggio in grado di mettere insieme le nazioni eredi di uno stesso impero, è stato in grado di fare ancora meglio.

Il 6%

Insieme ad Austra e Ungheria, nel gruppo F, hanno trovato posto altre due squadre. Una è il Portogallo, l’altra è l’Islanda. Sì, l’Islanda. Alcune proiezioni dicono che per l’appuntamento europeo il 6% della popolazione dell’isola si sposterà in Francia. Come se per le tre partite del girone dell’Italia 3.600.000 italiani passassero il confine ligure o arrivassero in aereo. Una follia.

Che diventa realtà quando l’espressione calcistica di una nazione con una popolazione di 323.002 persone riesce nell’impresa di capire che lo sport si può fare bene anche con un bacino d’utenza minuscolo. Ci vogliono testa, progetti, investimenti. Così, finisce che la Nazionale di calcio sfiori la qualificazione ai Mondiali brasiliani di due anni fa (dove le europee ammesse furono 13, non 24), persa solo agli spareggi, e che arrivi in carrozza al primo Europeo della sua storia e poi riesca a mettere paura al Portogallo testa di serie. Ieri sera è finita 1-1. Cristiano Ronaldo, che meno di un mese fa ha vinto la Champions League, ha pareggiato una partita per “colpa” di una rete di Bjarnason che nel 2013 giocava col Pescara in Serie B. Oggi, in conferenza stampa, CR7 si è lamentato dell’ormai famoso “bus” parcheggiato dalla squadra che difende a oltranza il risultato. Eppure, a cinque minuti dalla fine, la grande parata l’ha fatta Rui Patricio su un tiro di uno che si chiamava -son di cognome. Non ti puoi sbagliare: quando il 6% della tua nazione è lì sugli spalti, non c’è tanto bisogno che i nomi siano diversi. Ci si riconosce.

Will Grigg’s on fire

Will Grigg gioca nel Wigan, ed è nordirlandese. Fa parte dei convocati per quello che, ovviamente, è il primo Campionato Europeo nella storia della sua nazionale. I suoi tifosi gli hanno dedicato questo coro, che ormai è l’inno di tutti quelli che stanno seguendo questa manifestazione. Grigg non ha giocato ancora, neanche un minuto per lui nella sfida tra la sua nazionale e la Polonia. Va da sé che questo non ha alcuna importanza.

Will Grigg’s on fire, your defence is terrified

Il derby della madre

 

La signora a destra è la madre di Taulent e Granit Xhaka. Quella a sinistra, invece, è una simpaticissima signorina con la maglia della Svizzera, presumibilmente la fidanzata del secondo dei fratelli. Che è appena passato all’Arsenal e trascorre il suo tempo libero con una compagnia gradevole.

Se riuscite, spostate lo sguardo sulla maglia indossata dalla madre dei due calciatori. Noterete una bandiera particolare, che non esiste. È il mix tra quella dell’Albania e della Svizzera, e la madre tifa per entrambe. Un figlio gioca di qua, l’altro di là. Taulent, il meno forte e famoso, ha accettato la convocazione dell’Albania, paese d’origine. Granit, che invece è più dotato, gioca invece con la Svizzera, patria d’adozione. Non sarebbe potuto succedere se l’Albania non si fosse qualificata. invece l’Albania c’è, ha esordito proprio contro la Svizzera e ha perso. Senza demeritare però, e solo per causa di un’uscita pessima del portiere laziale Berisha su un calcio d’angolo. Un’altra storia possibile solo da quest’anno.

Che bello l’Europeo a 24 squadre.

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