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Cos’è cambiato dal Napoli di Benitez a quello di Sarri

Cos’è cambiato dal Napoli di Benitez a quello di Sarri

Sarri contro Benitez, Benitez contro Sarri. Napoli vive il calcio in questo modo, tra dualismi e contrapposizioni continue. Uno contro l’altro, o tutto bianco o tutto nero. Nessun grigio, al centro. Era successo nel 2013 con il cambio Mazzarri-Benitez, è avvenuto nuovamente quest’anno con il nuovo ribaltone in panchina. Per tifosi e addetti ai lavori, non esiste il Napoli. Ma esistono più squadre, diverse, a seconda dell’allenatore o del partito di turno. 

Il Napolista ha avuto una posizione chiara e netta su Benitez. Sia in campo che fuori. Ha ovviamente anche elogiato e riconosciuto a Sarri i suoi grandi meriti per la splendida stagione finita una settimana fa nella notte di Napoli-Frosinone. Oggi abbiamo voluto divertirci anche noi a fare i contrappunti, i confronti. In campo e solo in campo, però. E abbiamo cercato di vedere, in qualche modo, in cosa si somigliano e in cosa sono veramente differenti il Napoli disegnato dal tecnico spagnolo nel suo biennio di lavoro e quello che invece è stato costruito dall’ex mister dell’Empoli.

Ovviamente, non si prescinde da un primo confronto numerico. Parliamo di punti, ovviamente. E lo facciamo in maniera veloce, rimandandovi a questo pezzo (con dentro tutti i record del Napoli di Sarri) e con una considerazione. I risultati dicono che la squadra di Sarri, in campionato, ha fatto meglio di entrambe le edizioni di Benitez. E poi ci sono le coppe, con Sarri che ha messo insieme 10 partite con un ottimo score (7 vittorie, 1 pareggio e 2 sconfitte) ma con due eliminazioni abbastanza premature. Per Benitez, invece, un’uscita incredibile nel primo girone di Champions con 12 punti e Dortmund e Arsenal battute, un preliminare fallito con l’Athletic Bilbao, un ottavo di finale e una semifinale di Europa League e una vittoria e una semifinale di Coppa Italia, e una Supercoppa Italiana vinta. Ognuno può giudicare come vuole questa alternanza di risultati, in base ai suoi principi e alle sue considerazioni. Noi, adesso, vogliamo parlare di campo. E vedere in cosa si sono differenziate le due gestioni tecniche e tattiche degli ultimi tre anni. 

In questo articolo, inizieremo analizzando i dati e le statistiche, di squadra e individuali. Nella seconda parte, online nei prossimi giorni, ci focalizzeremo invece su azioni, posizionamenti e movimenti in campo, con l’ausilio di video e animazioni.

I dati

La differenza fondamentale, leggendo le statistiche, rimanda all’ampio concetto di intensità. Il Napoli di Sarri, in qualche modo, ha aumentato il volume di gioco prodotto. Lo leggi, sostanzialmente, in due dati fondamentali: il possesso palla (dal 54% di Benitez al 58% di Sarri) e nel numero di azioni offensive (506 per la squadra di Sarri, una media di 460 nei due campionati di Benitez). 

Volendo fare un importante distinguo, verrebbe da dire che il primo dato in realtà è poco pregnante. Perché lo stesso Napoli di Mazzarri (il migliore, l’ultimo, stagione 2012/2013) faceva registrare un possesso palla del 53%. Più che la percentuale di quanto venga mantenuto il pallone, è più importante il come. E vogliamo riferirci al secondo dato, quello delle azioni offensive costruite. Sulle 38 partite classiche del campionato, il Napoli di Mazzarri ne ha messe insieme 418. Quasi 100 in meno rispetto alla squadra di Sarri, 42 in meno rispetto alla media di Benitez.

Quindi, come detto inizialmente, la questione riguarda fondamentalmente l’intensità dell’iniziativa offensiva. Il Napoli di Benitez era una squadra che andava a strappi, partendo da un gioco aggregativo e posizionale. Una squadra che ricercava lo spazio attraverso le sovrapposizioni (interne e soprattutto esterne) e le giocate dei calciatori più dotati. Il Napoli di Sarri è stata invece una squadra continua, martellante, sempre alla ricerca delle combinazioni migliori per bucare le difese avversarie. Col pallone tra i piedi, in velocità e verticalità, per tentare l’azione che in qualche modo bypassasse la fase di non possesso avversaria.

Lo si evince grazie a un dato ormai diventato fondamentale nella match analysis, quello dei passaggi chiave. Nel primo e nel secondo Napoli di Benitez, il calciatore più importante da questo punto di vista è stato Hamsik: in entrambe le annate, 2 passaggi chiave ogni novanta minuti. Un buon numero, che però con Sarri ha avuto un incremento del 25%: non solo lo slovacco è ancora il primatista per numero di key passes stagionali (2,5), ma è anche accompagnato da compagni più propensi ad assumersi gli stessi rischi, a cercare la giocata risolutiva. Basta confrontare le classifiche: nella stagione 2013/2014, il secondo calciatore per passaggi chiave (Insigne) è a 1,6. Il terzo, Mertens, ha la stessa media. Nel 2014/2015, la seconda e la terza posizione sono rispettivamente di Mertens e Insigne (1,8 e 1,7). Callejon quarto con 1,5 e addirittura Michu (!) quinto con 1,3 key passes a partita. La media, alta, della meteora spagnola proveniente dallo Swansea ci dà la perfetta dimostrazione di come questo dato sia in qualche modo differente rispetto alla stagione in corso. In cui Hamsik, come detto, comanda la classifica con 2,5 passaggi chiave a partita; ma in cui Jorginho (1,9) e Insigne (1,8) formano un podio importante, con cifre alte. E con Mirko Valdifiori quarto (1,7), a dimostrare come solo la miglior edizione dell’italobrasiliano abbia impedito al regista ex Empoli di dare un contributo continuo e reale alla causa azzurra. Sotto, il riassunto grafico in riferimento ai passaggi chiave. 

Un altro dato molto importante, in qualche modo riconducibile all’intensità, è quello riguardante i duelli di gioco vinti in percentuale. In generale, considerando tackle, contrasti aerei, uno contro uno e azioni fallose, il Napoli di Sarri ha vinto il 50% dei suoi duelli. Volessimo scendere in particolare, fa impressione il dato relativo ai cosiddetti take-on, gli uno contro uno palla al piede. In questa stagione, il Napoli ha portato a casa il 59% di giocate utili in queste situazioni. Nel biennio di Benitez, non si è mai andati oltre il 45%. Anche la contestualizzazione di questo dato ci permette di capire analogie e differenze tra le due squadre: il Napoli di Benitez, come scritto sopra, cercava molto di più la giocata individuale rispetto alla combinazione armonica o allo schema di squadra. Il 45% (stagione 2014/2015) di take-on vinti è riferito a un numero altissimo di tentativi, 677. Il 59% del Napoli di Sarri, invece, parte da una cifra molto più bassa, 577.

Incrociando i dati, si capisce quindi cosa intendiamo quando parliamo di intensità: il calciatore del Napoli di Sarri ha quasi sempre potuto scegliere tra una soluzione individuale e una di squadra. Andava diversamente per la squadra di Benitez, in cui i giocatori erano più orientati all’azione personale e allo spunto uno contro uno. Un’analisi superficiale ci porterebbe a dire: che bello, Sarri ha preso un Napoli di sole primedonne e l’ha trasformato in un impianto dagli automatismi perfetti. Da un certo punto di vista, è vero. Ma c’è anche il risvolto della medaglia: un gioco come quello di Sarri costa moltissimo dal punto di vista fisico, e rischia in qualche modo di lasciarti a piedi nelle giornate in cui l’approccio o la condizione atletica non sono completamente dalla tua. Bologna, Udine e Milano con l’Inter sono in qualche modo lì a dimostrarlo. Insieme a un dato di un top club, ad esempio il Barcellona: 38 partite, 850 take on tentati. La ricerca soluzione personale non vuol dire solo mancanza di organizzazione offensiva. È anche una strategia per evitare un eccessivo dispendio di energie, e caratterizza ovviamente le squadre più forti, quelle con i calciatori più dotati dal punto di vista tecnico. A suo modo, nel campionato di Serie A, anche il Napoli. Con Benitez, il Napoli cercava di imporre il gioco dei suoi campioni; con Sarri, il Napoli ha sempre cercato di imporre il gioco della sua squadra. Una differenza sostanziale ma sottile, che porta risultati importanti quando viene sorretta da una difesa concentrata e intensa. Vale a dire, il vero grande problema della squadra di Benitez (questo sì, sistemato da Sarri).

I dati difensivi, infatti, sono in qualche modo eloquenti e indicativi. Si parte da quello base, riferito al numero di azioni difensive a partita: 31 per il Napoli di Sarri, 43 in media per il Napoli di Benitez. Questo, in qualche modo, fa riferimento anche alla sbagliata concezione generale del possesso palla. Che è un modo di attaccare, certo. Ma è soprattutto un modo per difendersi. Una squadra che gestisce per molto tempo il pallone, rischia di meno. E interviene di meno, proprio come il Napoli di Sarri. Che, a questo (che ovviamente non è poco), ha aggiunto solamente una maggior concentrazione e una migliore capacità di resistenza ai momenti di pressione. Oltre, ovviamente, a un aumento della capacità di lettura posizionale e situazionale (ma di questo parleremo nella seconda puntata di questa analisi).

Il dato che più di ogni altro evidenzia questo cambiamento è quello riferito alla tipologia di azione difensiva, che gli analisti dividono in Interceptions (ovvero pallone intercettato su passaggio avversario), tackle (letterale) e Cleareances (palloni spazzati in situazioni di attacco avversario). I primi due, in proporzione, restano simili. Cala vertiginosamente, invece, il terzo. Il Napoli di Sarri, detto in parole povere, difende in maniera sostanzialmente simile rispetto alla linea a quattro e al doble pivote di Benitez, ma è riuscito a essere più compatto nell’uscita elegante dal momento di pressione avversaria. Albiol e Koulibaly, primatisti di “rilanci difensivi”, ne hanno messi insieme rispettivamente 4,4 e 3,6 a partita. Quando invece, nella stagione precedente, primo e secondo in questa speciale graduatoria (sempre lo spagnolo e Britos), ne facevano contare 6,5 e 5,3 ogni 90 minuti. Tanti, tantissimi di più. Sotto, il riassunto grafico. C’è anche il vecchio amico Anthony Réveillere.

Anche qui, soprattutto qui, intensità. Intensità vuol dire, in questo caso, capacità di retrocedere armonicamente e organizzare una ripartenza. Decisivo, in positivo, il cambio di posizione di Hamsik e il passaggio a una linea mediana a tre. Più copertura preventiva, maggiore possibilità di uscita. Anche un fabbisogno energetico diverso, ne abbiamo già parlato, per principi di gioco sicuramente dissimili. Ma non così tanto, e lo vedremo nello studio dei movimenti e dei posizionamenti in campo. Anche quelli, in un certo senso, ci dimostreranno quanto queste due squadre, pur così differenti a una prima analisi, abbiano mantenuto un certo, insospettabile, trait d’union. 

1 – Continua

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