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Le lezioni sul calcio della Premier League 2015/2016

Le lezioni sul calcio della Premier League 2015/2016

Una Premier League incredibile, quella che si concluderà domani. Mancano gli ultimi verdetti ‘accessori’, per dirla à la Sarri (la squadra che raggiungerà il quarto posto e quella che raggiungerà il sesto, che vale l’Europa League), ma quello che è già accaduto dovrebbe essere già abbastanza per estrapolare un vero e proprio controtrattato sul calcio. Una lezione, anzi più lezioni. Come scrive Miguel Delaney su Espnfc.com.

Quella vinta dal Leicester è stata una Premier League strana, in grado non solo di premiare una squasra che a inizio anno veniva data a 5000 dai bookmakers anglosassoni, ma anche di ribaltare ocmpletamente le gerarchie, soprattutto economiche, che in qualche modo regolavano i suoi equilibri interni. E questo, lo leggiamo nel pezzo di Delaney, succede nell’anno in cui il campionato inglese è diventato «the biggest ever broadcasting deal in the history of club football», alias “il più grande affare televisivo nella storia del calcio di club”. In un contesto che, dalla stagione della fondazione (la Premier nasce nel 1992/93 a seguito di uno scisma tra la Football Associations e i club della vecchia First Division, proprio per questioni legate ai diritti televisivi) sembrava premiare sempre le squadre più ricche, tutto cambia e si ribalta proprio nel momento in cui il gap economico tende ad allargarsi. Mentre Manchester City e Manchester United spendevano più di ogni altro club nelle ultime finestre di mercato, Leicester e Tottenham costruivano le squadre secondo una filosofia diversa: da una parte i pure ingenti ingenti investimenti di una proprietà straniera grazie alle indicazioni di un manager da tempo ai margini del grande calcio, dall’altra un protocollo tutto legato alla valorizzazione dei giovani, quelli fatti in casa e quelli acquistati da altre squadre. Ebbene, in questo modo sono arrivati il primo titolo della storia e un secondo posto che al Tottenham mancava addirittura dal 1963.

Le altre due lezioni riguardano la volatilità della cosiddetta “power manager”, la forza degli allenatori, e la necessità di essere presenti, negli investimenti e nella competenza, nel caso di acquisto di un club di calcio di Premier League. Pena finire a gambe all’aria, come Aston Villa e Newcastle.

Per parlare del primo punto, Delaney fa un salto indietro di appena due anni. E racconta di come i quattro manager più importanti di appena un paio di stagioni orsono abbiano tutti fatto un grosso buco nell’acqua: Rodgers non allena più il Liverpool, portato a un passo dal titolo nel 2014; parlando sempre della città della Mersey, Roberto Martinez ha appena perso il posto di manager dell’Everton; i due trionfatori Mourinho e Pellegrini, invece, sono stati (il portoghese) o saranno (il cileno, pronto ad essere rilevato da Guardiola) silurati da Chelsea e Manchester City. Insomma, ancora Ranieri: secondo Delaney, «il tecnico italiano rappresenta un’inversione di tendenza. Un tecnico considerato finito, non di grido, arriva e vince la Premier, spodestando tutti i santoni della panchina».

Il secondo punto, invece, affonda la lama nelle sofferenze dei tifosi Villans Magpies: Aston Villa e Newcastle sono stati gestiti dalle loro proprietà «come se il loro blasone bastasse a superare le altre squadre». Gli inglesi del Newcastle e gli americani dell’Aston Villa sono stati superati da club come Swansea e Crystal Palace. «It is yet another lesson for those only lured by the wealth of the Premier League». Un’altra lezione sul come non farsi travolgere dall’attrattiva ricchezza della Premier. Appunto. 

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