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Il Napoli capisca quali battaglie può permettersi di combattere

Il Napoli capisca quali battaglie può permettersi di combattere

Quanto accaduto a Udine ha una grande portata paradigmatica, a mio vedere.

Anzitutto, ci obbliga ad uscire dalla palude delle opinioni e a squadrare la realtà: se il Napoli non vince lo Scudetto, quest’anno, esce sconfitto. Ha sinora portato avanti una stagione straordinaria, in cui si fatica come dannati a trovare un solo incontro che non sia stato esaltante fino a travolgere. Eppure può perdere, avendo a disposizione il miglior centravanti della sua storia e forse dell’Europa attuale, assai probabilmente il miglior gioco del suo quasi secolo di vita, ed avendo osservato il suo atavico avversario in una rarissima partenza ad handicap. Si può essere straordinari e perdere, e forse accadrà al Napoli, come è accaduto allo scomparso Cruijff, che non ebbe mai da fornire spiegazioni sul suo non essere campione del mondo. Ma lo si deve affermare chiaramente e senza infingimenti, senza indulgere in democristianismi e rivelare sempre alla fine il presunto obiettivo scelto in segreto sei mesi prima. La storia si fa in itinere, e il Leicester non immaginava di dover lottare per vincere, ma lo fa conscio che se dovesse sfuggirgli oggi il titolo sarebbe una cocente sconfitta. Così per noi: probabilmente perderemo. Giocando alla grande. Bene, cercheremo di capire cosa è stato a farci sconfitti.

In secondo luogo, una partita paradigmatica come quella di domenica, direi biblica per densità di significati, necessita di racconti biblici. Credo ci insegni, anzitutto, che se sei debole, più debole dell’avversario, tutto il tuo tempo devi investirlo nel capire quali battaglie puoi permetterti di combattere. Pick your fights, direbbero gli anglosassoni. Nel libro di Samuele, Davide è minuto e quasi scompare dinanzi ai cinquemila sicli di bronzo di Golia. Avesse scelto un bianco destriero e preteso una spada a neutroni per vincerlo non avrebbe fatto altro che costruirsi l’alibi perfetto. Chi dice “ma tanto si deve vincere sempre” ha una visione molto naïf della questione. Non è mai così, nessuna realtà lo impone. E Davide lo sa bene. Tutti hanno calendari stilati, tutti scendono in battaglia sapendo dove sarà lecito sanguinare e dove al contrario ci si dovrà assolutamente parare. Il debole lo sa e sceglie infatti la fionda, per colpire da lontano, non la spada. Il Napoli – e anche molta Napoli -, in ossequio a una conclamata tradizione e in una salda continuità Presidente-allenatore-tifo, hanno scelto le battaglie sbagliate, a mio avviso. Quella della caciara in corso, ovvero della recriminazione arbitrale ex post e dell’invocazione del torto arbitrale ante-litteram. Le classiche battaglie dei disperati, di Davide che chiede la spada a neutroni e fa finta di meravigliarsi quando gli dicono che non ce n’è. Mentre, nella distinzione tra ciò che si può e ciò che non si può influenzare, c’erano sicuramente battaglie che si potevano e si dovevano condurre con efficacia. Quella, ad esempio, di un calendario in cui delle ultime sei gare, esattamente sei vedono il Napoli giocare in posticipo, senza alcuna ragione apparente e senza analogie nel continente. Forse non avremmo cavato un ragno dal buco, ma se si tengono principi di precauzione finanche per cose come le mele transgeniche, magari un po’ di accortezza, un minimo di equità nella redistribuzione delle date poteva trovarsi, specie se la squadra più debole è anche la meno avvezza a sostenere mentalmente le gare. Ma, per paura di cadere e farsi male, si è preferita la scorciatoia dei famosi poteri forti che null’altro sono che una nuova categoria dello spirito.

A proposito di spirito, e per rimanere in tema biblico. Dove possiamo migliorare è anche nel trovare una equidistanza tra i temi in gioco. Tra zero e uno ci sono infiniti numeri reali. E se è evidente che non sia stato l’arbitro a farci giocare la peggiore partita stagionale a Udine, è anche vero che il potere esiste, e o ci decidiamo ad abbracciarne lo sporco tentacolare e a gestirlo anche noi, uomini del duemilasedici e più deboli, o cadremo sempre nell’errore di giudicare impuro chi per amministrarlo con coraggio deve conoscerlo ed usarlo. L’evangelista Luca riporta una parabola che nei catechismi ufficiali ha da sempre scarso successo, quella del fattore infedele, anche detta dell’amministratore scaltro – tutti titoli terzisti per indicare un ladro nel pieno esercizio delle sue funzioni. Un signore ricco ha un amministratore che lo deruba in segreto e decide di cacciarlo. L’amministratore disonesto, per mettersi al riparo, si fa fare una serie di ricevute false dai debitori del suo padrone decurtando illecitamente il dovuto, e si fa degli amici. “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza” dice Gesù, che non tifava Napoli (forse) ma sapeva molto bene che ottenere alcunché privi di questa meticolosa attenzione, fosse esso uno scudetto o una causa ultraterrena, è pressoché impossibile, almeno in questo mondo. E non basta addurre come scusante quella di “essere fatti così” per giustificare l’ennesima espulsione dovuta all’ennesima banalissima imprecazione in panchina. Pick your fights. Se il servo avesse perso tempo a bestemmiare il padrone, sarebbe finito sotto un ponte e senza amici.

Per concludere, quanto detto per i poteri forti vale per l’altra entità spirituale, la mentalità. Pare che non ne abbiamo, ma anche se ne avessimo sarebbe difficile stabilirlo visto che essa non ha reali incarnazioni. Azzardo dunque: la mentalità sono la scaltrezza del servo e la sagacia di Davide, a valle di un lavoro straordinario fatto da questa squadra sinora. Paradossalmente manca proprio quanto noi napoletani ci diciamo da secoli di possedere: il saper stare al mondo. E’ duro ricevere questa critica, ma è parte del nostro processo di crescita, se lo Scudetto vogliamo vincerlo.

E, a tal proposito. Il campionato non è terminato. Il titolo non è assegnato e la matematica non ce lo strappa. C’è una battaglia da fare, secondo me. Higuain è stato espulso, giustamente. Ora attendiamo la squalifica. In un campionato, sostanzialmente corretto, in cui s’è anche visto quanto mai si era visto, ovvero un giocatore intimorire con testa sul petto l’arbitro e non venire neppure ammonito (come ha confessato Sconcerti, non io), è quantomeno legittimo aspettarsi che l’errore comprensibile del miglior giocatore del campionato sia giudicato con qualche clemenza. Ribadisco, per l’ennesima volta, ma con qualche certezza vacillante ormai, non facciamoci fare fessi.

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