ilNapolista

La vita di Massimo Troisi / 3 – ’O ssaje comme fa ‘o core

La vita di Massimo Troisi / 3 – ’O ssaje comme fa ‘o core

Pubblichiamo la terza puntata (su quattro) della vita di Massimo Troisi a cura di Antonio Fiore, già apparsa sul Corriere del Mezzogiorno e tratta dal blog www.ilcriticomaccheronico.it

“Quanto si’ bello, pare ‘n attore”. Lui si atteggiava con un pizzico di vanità davanti allo specchio, e le sorelle lo sfrucugliavano affettuosamente: “Massimo, pare proprio ‘n attore”. Il paradosso stava nel fatto che Massimo non “pareva” un attore, ma attore lo era già da un pezzo, e di travolgente successo. Il fatto è che, anche dopo il trasferimento a Roma, Troisi ricominciava ogni volta da San Giorgio a Cremano: quasi volesse, dopo gli impegni di lavoro e i viaggi all’estero, ripartire sempre da lì, da quella compagnia stabile formato famiglia, per riprendere le misure di se stesso rapportandosi a un mondo di sentimenti senza retorica, di ironia amorosa, di improvvisazioni sulla vita quotidiana che alimentavano la sua vena di comico che non si accontentava solo di far ridere. Anche nei momenti decisivi, il parere e l’approvazione dei suoi erano fondamentali: quando fu chiamato come ospite al Festival di Sanremo per lanciare in grande stile “Ricomincio da tre”, i funzionari Rai gli chiesero di ammorbidire i passaggi più scottanti e “politici” del suo monologo: Massimo non cedette di un millimetro, e rinunciò del tutto al suo intervento. La prima telefonata da Sanremo, per comunicare la sua decisione e sapere se aveva fatto bene o male a prenderla, fu ai familiari a casa. Ma se per un po’ spezzava quel filo, lo assalivano i sensi di colpa: sempre camuffati dietro i toni scherzosi, però. Come quella volta che, dietro una cartolina spedita a casa dalla Costarica e su cui campeggiava l’immagine di una chilometrica spiaggia deserta, annotò a mo’ di giustifica del suo lungo silenzio: “Vedete telefoni qui?”.

Non si vedevano telefoni neppure nel suo terzo film, perché “Non ci resta che piangere”, girato a quattro mani con Roberto Benigni, era ambientato nel Medioevo, dove i due amici si ritrovano catapultati loro malgrado, per via di un inghippo spazio-temporale. Località Frittole, anno il fatidico 1492, uomini in calzamaglia e madonne toscane, gabelle inique (“Un fiorino!”) e frati apocalittici (“Ricordati che devi morire!”, “Mo’ me lo segno… non vi preoccupate”): si tratterà di convincere un Leonardo da Vinci un po’ citrullo a inventare bazzecole come il treno a vapore, di placare il furore di Savonarola (la lettera piena di strafalcioni e anacoluti che ricalca quella dei fratelli Caponi alla malafemmina è ormai un classico), e soprattutto di impedire a Cristoforo Colombo di andare a scoprire l’America. Ma, nel frattempo, Massimo-Mario avrà modo di conquistare il sorriso di Amanda Sandrelli-Pia appassionata del gioco della palla (“Pro’are, pro’are, pro’are…”), magari fingendo di inventare per lei canzoni di qualche secolo dopo come “Yesterday”, o addirittura “Fratelli d’Italia”.

Massimo e l’amore: in una Troisi story che si rispetti non può mancare un capitolo dedicato alla sua delicata e insieme tormentata vita sentimentale. Che si intreccia ai suoi film: spesso un antidoto, o un placebo, alle passioni, alle disillusioni, all’amore e al disamore dell’esistenza reale. Della intensa relazione con Anna Pavignano, compagna di vita per molti anni e compagna di sceneggiatura fino alla fine, ho già accennato nella puntata precedente. Ma Troisi ebbe una vita sentimentalmente piena, che seppe sempre proteggere dal gossip anche quando la partner era un volto da copertina: visse, in epoche diverse, relazioni profonde con donne di grande fascino e personalità come la statunitense Jennifer Beals (la deliziosa protagonista di “Flashdance”, che pochi giorni dopo la morte di Troisi, il 17 giugno, scrive all’amico comune Alfredo Cozzolino in una struggente lettera: “Lo so anche che Massimo non è molto lontano, che lui ci vede. Spero che lui stia ridendo. Non vedo l’ora di rivederlo ancora”). Come l’attrice e top-model italoamericana Clarissa Burt, o come la showgirl Nathalie Caldonazzo, l’ultima sua compagna. Furono tutti grandi amori? Il segreto lo conoscono solo i protagonisti, ma certo furono amori mai esibiti e sempre protetti con pudore dall’invadenza dei media, e forse frenati da quel ticchettio meccanico della valvola cardiaca che scandiva i silenzi e ogni volta lo riportava alla realtà di una vita a rischio, un regalo a termine che gli impediva di legarsi fino in fondo.

Tu stive ‘nzieme a me
je te guardavo e me dicevo
comm’ sarra’ succiesso ca è fernuto
Ma je nun m’arrenn’
ce voglio pruva’
Poi se facette annanze ‘o core
e me dicette:
“Tu vuo’ pruva’?
E pruova, je me ne vaco”
‘O ssaje comme fa ‘o core
quann’ s’è sbagliato
dicono le parole di una bellissima poesia (poi musicata da Pino Daniele) di Massimo. Che però della gravità della sua malattia evitò sempre di parlare. In pochi, al di fuori della cerchia dei familiari e delle persone più care, sapevano la verità: quella cicatrice sul torace il pubblico, io credo, la intravide solo (oltre che fugacemente nella scena delle “sviolinate” in “Scusate il ritardo”) in “Hotel Colonial” (1987) di Cinzia T. H. Torrini (dove Troisi interpretò in un insolito cameo il personaggio di Werner, napoletano déraciné spiaggiato in Colombia); ma la cicatrice sull’anima restò nascosta a tutti.

Lui, come al solito, anche di questa dolorosa refrattarietà all’amore eterno seppe fare una esilarante auto-caricatura: “La mia donna ideale, lo dico anche se rischio di perdere un’amicizia…, è la donna di un altro – ammise in una “storica” intervista televisiva rilasciata a Gianni Minà – pecché io so’ pigro, sono uno che non mi va di uscire, allora se c’ho una donna che non può uscire, che c’ha il marito geloso… Quindi più che la donna ideale, io c’ho il marito ideale della donna ideale”. Il fatto che Clarissa Burt fosse davvero stata la donna dell’amico Francesco Nuti prima di scegliere Massimo (non è un pettegolezzo da gossip, lo ricorda lo stesso Nuti in un amaro libro-confessione in cui rievoca l’invidia provata verso Troisi) getta una luce inaspettata sulle conseguenze dell’amore, della sua fine. O della sua trasformazione in calesse. Parafrasando Pessoa: “l’attore è un fingitore, finge così completamente che arriva a fingere che non è amore l’amore che davvero sente”.
(3 – continua)

La seconda puntata – Otto anni per il diploma di geometra promesso a papà e la differenza tra i vigili urbani e Ingmar Bergman

La prima puntata – Le trasferte in treno per il Napoli, Pasolini e i lavori da stagionale a raccogliere la frutta 

ilnapolista © riproduzione riservata