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Pacileo racconta Italia-Germania 3-1: «Hanno vinto in un modo che sarà piaciuto a Pertini: da perfetti partigiani»

Pacileo racconta Italia-Germania 3-1: «Hanno vinto in un modo che sarà piaciuto a Pertini: da perfetti partigiani»

L’Italia batte la Germania 3-1 con reti di Rossi, Tardelli e Altobelli e diventa campione del mondo. È l’11 luglio 1982. Il giorno dopo, sul Mattino, Giuseppe Pacileo descrive l’entusiasmo azzurro come se sul campo si fosse svolta una battaglia tra eserciti, indugiando sulla gioia di Pertini e sulla vittoria da partigiani degli azzurri. Grazie a Roberto Liberale, possessore delle pagine originali che vi proponiamo sotto. 

Hanno vinto in maniera che sarà piaciuta a don Sandro Pertini: da perfetti partigiani. La potenza germanica, dapprima presuntuosa indi stupita al fine furibonda, ma quando ormai le perdite erano irreparabili, la potenza atletica e tecnica della grande Germania calcistica è caduta con immenso fragore mentre l’urlo dei mille e mille italiani sulle gradinate del maestoso «Bernabeu» aveva accenti ormai non più umani. Hanno vinto grazie ad un’accorta tenuta atletica, allo spirito di sacrificio, alla inesorabilità dei colpi di mano (stavolta di piede…); hanno vinto per l’estrema risolutezza che, sì, spesso si è vestita di violenza. Ma non si poteva opporre finezza stilistica al calcio muscolare dei germanici.

Il campionato del mondo non sempre premia i più abili, certamente i più degni. Non si vincono battaglie calcistiche come quelle contro Argentina, Brasile, Polonia, infine Germania, se mancano qualità fondamentali nello sport agonistico: la fiducia in se stessi, la forza morale, l’intelligenza. Ebbene, a squadra italiana che rinverdisce allori ormai consunti ha dimostrato di possedere tali qualità, in maggior misura apprezzabili perché sono emerse dopo esordi tutt’altro che promettenti.

Dopo essere passati in svantaggio, i tedeschi hanno avvertito il colpo; i nostri Prodi Azzurri – stavolta prodi davvero – non si sono abbattuti neppure dopo aver sbagliato con Cabrini la palla più facile della partita e del giuoco del calcio: un rigore. Hanno saputo continuare secondo i piani prestabiliti, sono giunti – grazie al più inesorabile dei guastatori – a far crollare il primo ponte. È stato il momento che ha deciso la partita, si è capito subito, anche se era ancora difficile prevedere la ben più ampia segnatura che sarebbe seguita.

Sicché, una volta annullato il facile vantaggio del rigore, dovremo dire che non di pugnale avvelenato hanno colpito questi partigiani del vecchio altero (e commosso) Presidente; bensì con azione dichiarata, quell’azione che ben dovevano conoscere i tedeschi. I quali invece hanno presunto di poterla sottovalutare al punto di farsi spedire qui a Madrid in anticipo lo champagne francese per brindare alla vittoria. La storia, quella con la S maiuscola, non gli ha insegnato nulla: come quella degli orsi, la pelle degli italiani va venduta dopo averli ammazzati.

Don Sandro era venuto qui a Madrid per incoraggiare ed applaudire una squadra che aveva con sé tutto un Paese, poi ha deciso di portarli a casa con sé. Non mancherà, in Italia, qualche critica. Ma Pertini è il presidente degli italiani, e ben sa quanto gli italiani amino il calcio. Perciò ha voluto rappresentare anche coloro – la maggioranza – che non avevano potuto trasferirsi qui a Madrid per vivere una serata di passione e di gloria. Che ora gli azzurri tornino con lui, sull’aereo presidenziale, al meritato trionfo m sembra del tutto naturale. Ancora una volta occorre rifarsi alla Storia: forse che trattamento diverso veniva tributato dalle rispettive città agli antichi campioni dello sport? Forse che non li attendevano in patria il trionfo, onori particolari e – cosa che mai guasta – sostanziosi premi? La sagra del «Bernabeu» non è che una riproduzione dell’eterno passato. Rinuncino quindi a scandalizzarsi anche coloro che non sono stati tra i 32 milioni incollati davanti al televisore. Accade che l’Italia possa vivere un lungo momento di felicità. Accettiamolo senza riserve, magari anche solo come ossigeno, per i tanti guai che continueremo quotidianamente a vivere. Tre anni fa la figura del calciatore italiano uscì infangata e vergognosa dalla vicenda delle scommesse truccate. La vittoria più grande la restituisce all’acclamazione incondizionata. Ed è bello, singolare, che alfiere di tanto trionfo sia Paolo Rossi, condannato e reduce da due anni di prigione calcistica, ora campione e capocannoniere. Dalla galera al Quirinale, ecco il compendio dell’impresa che ci esalta e che impegna da oggi in poi ad un calcio migliore. Perché adesso, o uomini del calcio, è un dovere farsi degni tutti del primato di pochi.

Giuseppe Pacileo

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