Sarri: la sua storia l’abbiamo studiata tutti quando De Laurentiis ci ha lasciati in attesa della firma per giorni, conosciamo il suo percorso da allenatore, apprezziamo il suo lavoro sulla panchina, ma vorremmo sapere di più, vorremmo sapere e giudicare tutto di quest’uomo. Di lui balzano occhio due peculiarità: il fumo e la tuta e proprio di questi suoi aspetti abbiamo chiesto a due esperti in psicologia dello sport per provare a decifrare l’uomo Sarri.
Salvo Russo, ideatore del primo software italiano di psicologia dello sport (SPSmanager). Dal maggio 2010 insegna presso il Corso di Perfezionamento in Psicologia dello sport del SUISM dell’Università di Torino, questo il suo profilo del mister:
«Sarri arriva al calcio in maniera anomala perché non ha avuto una carriere da calciatore, ma da bancario. E per questo possiamo affermare che le conoscenze se le è dovute fare un po’ alla volta.
Chi viene da una banca non ha avuto contatti precedenti col mondo del calcio, quindi solo le sue competenze e la passione lo hanno condotte dov’è adesso. È partito dalle serie minori guadagnando a suon di risultati il patentino per arrivare dove è arrivato. A Napoli, una piazza nonncerto semplice, ci ha saputo fare anche se aveva gli occhi addosso visto che è arrivato dopo Benitez. Ha saputo gestire lo spogliatoio nonostante tante primedonne e ha rimesso Higuain in forma smagliante, non possiamo sapere se vincerà ma di certo possiamo dire che sta andando benissimo.
Il suo andare in panchina con un mozzicone di sigaretta e mordicchiarlo durante la partita si muove lungo un asse dove a un polo c’è la superstizione, figlia dell’ignoranza, e dall’altro domina invece un meccanismo anti-stress. Un movimento meccanico che lo aiuta a scaricare la tensione, come molti schiacciano una pallina di spugna o masticano il chewing-gum. La superstizione è molto presente nel mondo del calcio, la stragrande maggioranze dei giocatori che fanno il segno della croce entrando in campo non lo fanno per religiosità ma solo per scaramanzia: non sono tutti credenti. Questo purtroppo, a mio avviso, è legato al basso profilo culturale.
Ci sono diversi rituali che si ripetono nel mondo sportivo, che non servono a modificare l’esito delle competizioni ma solo ad attenuare lcacia di nervosismo che quell’evento crea. Il gesto di Sarri lo aiuta a gestire lo stress in quel momento, non certo a favorire l’esito della partita, ma bisogna tener presente che in uno spogliatoio prima della partita la tensione si taglia col coltello; non esiste giocatore fermo, perché l’adrenalina sale. Mentre il giocatore una volta sul terreno di gioco corre e sfoga la tensione, l’allenatore non può correre e deve trovare un modo per scaricarla»
Alberto Cei insegna Coaching all’Università di Tor Vergata e svolge l’attività di mental coach con diversi atleti olimpici, squadre sportive o allenatori.
«Sarri ha dato l’idea di un uomo sicuro di sé. Nelle interviste, nella gestione della squadra e della comunicazione appare inalterabile e sopra le parti. Partiamo dall’idea che le persone sicure non esistono e ogni persona che ricopre responsabilità ha le sue ansie, le sue paure e timori fisiologici. Sarebbe presuntuoso non conoscere i propri limiti perché gli errori più grandi si commettono quando si è eccessivamente sicuri. Il mozzicone di sigaretta che il mister porta con sé in panchina, da torturare durente i novanta minuti, è un segno evidente delle sue “debolezze“, è un modo per scaricare la tensione.
Potremmo definirli rituali ma anche i rituali sono utili perché sono abitudini che servono a far scemare la tensione. Sono dei passi che ti mantengono concentrato, Nadal che si tocca i capelli, la frangetta, le calze, sono piccole azioni che non servono a nulla, se non a mantenere l’attenzione su ciò che stai andando a fare. Anche l’allenatore è carico durante una partita di calcio ma è in panchina e non può correre; la sua è una prestazione intellettuale, quindi deve scaricare la tensione in modo differente e di conseguenza ecco il mozzicone o il prendere appunti.
Anche il suo modo di vestirsi, la tuta, probabilmente è il suo modo per sentirsi a proprio agio: è fondamentale, è un modo per affermare il proprio ruolo che è quello di guidare la squadra. Avere a che fare con i giornalisti, le interviste, sono solo un’appendice; il suo lavoro è un altro. Il calcio è un ambiente abbastanza compiacente, basta pensare a Berlusconi che non lo ha voluto al Milan per il suo modo di presentarsi, e questo va a favore di Sarri: è rimasto se stesso senza preoccuparsi delle conseguenze. È un uomo fedele a sé stesso».
Francesca Leva
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