(Antonio Bassolino vuole fare di nuovo il sindaco di Napoli e ieri si è paraganoto al tecnico del Napoli: “Serve un Sarri? Esatto. Sono io Sarri. Il centravanti di sfondamento l’ho fatto nel 1993, ora voglio essere l’allenatore di una squadra”. Zdanov aveva già previsto tutto).
Nel 1997 Mario Martone girò “La salita” per il film “I Vesuviani”, in cui Antonio Bassolino scala il Vesuvio facendo un bilancio del suo primo mandato da sindaco. Quasi vent’anni dopo, Aurelio De Laurentiis ha in mente di girare un remake con Maurizio Sarri al posto di Bassolino. Zdanov offre in anteprima la bozza del copione.
Maurizio Sarri è ai piedi del Vesuvio. Indossa la tuta e ha una fascia trasversale azzurra. C’è scritto: “Ciuccio pensaci tu”. Sente una voce che lo chiama: “Maurizio, Maurizio”, ma non scorge nessuno. Si accende una sigaretta. Aspira. Passa un autobus di rafaeliti giapponesi. Lo salutano e gli scattano foto come fosse una statua. Lui sorride e cammina.
Primo incontro. Sarri s’inerpica e vede in alto un uomo rotondo in groppa a un ciuccio. “Don Diego aspettatemi”. È Maradona. Ma don Diego fa cenno di no con la mano. Sarri: “Aspettatemi, avete visto quante sono cambiate con me? Anche io ho l’altare come San Gennaro e voi”. Don Diego: “O zììì, io sono il mito, io ho fatto il miracolo”. Sarri: “Ma io sono San Gensarri aspettatemi don Diego”. Don Diego: “O zììì è presto, veglia e non dormire perché la nottata non è passata e non sai né il giorno né l’ora in cui il miracolo avverrà, mancano almeno sette mesi e mezzo, addio”.
Secondo incontro. Sarri incespica su un sentiero di pietra lavica. Si rimette in piedi e nota un uomo seduto su un masso. È Walter Mazzarri. Ha i capelli biondi di meche che si ripiegano sul collo. La testa oscilla avanti e indietro. È appena scappato da un centro di igiene mentale per allenatori stressati. Sarri: “Walter sei tu?”. Mazzarri, con un italiano alla Mourinho: “E l’Inghilterra la terra del sogno: Manchester, Liverpool, Chelsea, Arsenal. Quando il materialismo storico incontra Dio noi diventiamo mito, lo sostiene anche Hegel”. Sarri: “Qua sono tutti miti, nessuno è normale. Torna a Napoli, ti facciamo curare, questo è il momento giusto”.
Terzo incontro. Sarri si accende la seconda sigaretta e continua a salire. Si ferma. Per terra c’è un libro. È una copia di “Stato e rivoluzione” di Lenin, copertina bianca, quella antica degli Editori riuniti, con la fascia rossa. Sarri lo raccoglie, lo sfoglia e lo infila in una tasca dei pantaloni. Lo Stato. La Rivoluzione. Pensa: “Qua lo Stato è assente da decenni, lo diceva pure Pazzaglia in ‘Così parlò Bellavista’, con il cavalluccio a dondolo in braccio. Lo Stato è assente e lo stadio un cesso. Io posso fare solo la rivoluzione”. Nell’aria si spande il suono dell’Internazionale.
Quarto incontro. L’Internazionale sfuma e c’è un corvo che gracchia. Si chiama “Funiculà, Funiculà”. Sarri: “Ma a te l’internazionalizzazione non ti aveva mangiato?”. Il corvo: “Mi hai fatto risorgere tu, sono un miracolo come te”. Sarri: “Piano con i miracoli, non ho fatto nulla di eccezionale ancora, siamo al sesto posto”. Il corvo, indottrinato da ore e ore trascorse davanti ai salotti tv calcistici della regione, modello Canale 21, e dalla lettura del Mattino: “Sia lode a te Sarri, tu hai dato alla città la speranza di un nuovo corso. Napoli non deve cambiare, noi vogliamo andare di fretta e goderci le pause, possiamo continuare a camminare insieme per un po’? Le ideologie sono crollate, la napoletanità resta”. Sarri: “Io non voglio cambiare Napoli, mi piace la pizza, il mandolino e poi, scusate, cambiate Mantova, Rovigo, Empoli. Sono tornato a Empoli ed è sempre la stessa. Ecco, cambiate Empoli non Napoli”. Corvo: “Tu hai già il titolo di re di Napoli”. Sarri: “Io ascolto la realtà. Napoli si è stancata di immaginarsi diversa da quella che è”.
Quinto incontro. Sarri è a metà del cammino. Sente, improvvise, delle voci provenire dal sottosuolo. Si abbassa e vede delle faglie, le voci vengono da lì. Sono Paolo Cannavaro, Verde, Floro Flores. I napoletani cacciati o emigranti. Paolo Cannavaro: “Noi volevamo essere le bandiere della squadra. Lo Stato assente, il degrado della società, la camorra, l’abusivismo edilizio, la munnezza, le scelte di Benitez, i venditori ambulanti, il colera, il terremoto, ci hanno cacciato”. Sarri: “Vorrei riprendervi tutti quanti, tornate vi prego, con me le cose sono cambiate, facciamo la nazionale napoletana”. Silenzio. Paolo Cannavaro: “O zìììì ‘a tenite ‘na sigaretta?”. Sarri: “Sì, ecco”. Cannavaro prende la sigaretta: “Ma sono di contrabbando”. Sarri: “Me le ha comprate Aurelio”.
Sesto incontro. Sarri è quasi cima al Vesuvio. Sale, sale e nota una macchia bianca sulla pietra lavica. Si avvicina. È un dossier: “Progetto cantiere Bagnoli”. Sarri: “Io sono nato a Bagnoli”. Arriva il vento, le pagine volano e scende la nebbia. Sarri cade. Si rialza. Vede una sagoma nella nebbia. Mette a fuoco solo una pancia enorme, tesa come un tamburo. Sarri: “E tu chi sei?”. L’ombra risponde: “Io fui Rafa, obeso morto per indigestione sulla panchina del Real”. Sarri: “Rafa sei tu? Qui non si fa che continuare a parlare di te. Raccontami di te”. Rafa: “Si tace di tante cose, Maurizio, meglio così. Potevo aiutarti solo con la mia morte. Invitami a un valzer tikitaka Maurizio”. Sarri: “Ma io vengo da Empoli, Rafa, vengo dalla gavetta, sono arrivato tardi”. I due ballano.
Epilogo Sarri è arrivato in cima. Fa per prendere il pacchetto di sigarette. Scuote la testa: “Ma che dovevo fare qua? Nun tengo manc ‘e sigarette”. Per terra c’è un altro libro. Luigi Compagnone, anno 1986, dopo il primo scudetto: “In Partenope, si richiede al Dio Pallone una grazia specialissima, ossia il Riscatto dai mali della Storia, direi piuttosto della Nonstoria che governa da millenni la città”. Sarri legge e poi guarda il panorama. Si accorge infine di un altro uomo che sta salendo. È Antonio Bassolino. Pensa: “Meno male che torna, così posso chiedergli una sigaretta”. Ma Bassolino ha smesso di fumare, da anni.
Zdanov