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Studio Striano per capire Napoli e penso che ripartire dallo “spalla a spalla” non sarebbe male

Studio Striano per capire Napoli e penso che ripartire dallo “spalla a spalla” non sarebbe male

Cortese redazione del Napolista, certo, sentirsi dire da Arrigo Sacchi, per noi tifosi del Napoli certo non uno qualsiasi, che Napoli, intesa come città, non ha una mentalità vincente, fa male. E non poco. Proprio lui, che ci strozzò in gola l’entusiasmo per la possibile conquista del secondo scudetto, a mio avviso, del Napoli più forte di sempre. Letta questa dichiarazione, lo ammetto, ho avvertito un iniziale moto di dissenso, ma poi, a mente fredda, riflettendoci su, ho dovuto ammettere che, se non proprio centrandola, l’omino da Fusignano, dagli occhiali da sole spesso improbabili, non è andato molto lontano
dalla realtà.

È certamente un caso che io proprio in questi giorni stia rileggendo, vorrei dire studiandolo, “Il Resto di Niente”, di Enzo Striano, nel tentativo di una ricerca storica attraverso cui identificare le radici dell’attuale malessere civile e culturale della nostra città.


E comunque è un dato di fatto: dall’annessione al Regno di Sardegna in poi, non abbiamo fatto altro che girarci indietro a guardare cosa eravamo, piuttosto che cercare un nuovo orizzonte verso cui, rimboccandoci le maniche, ci dovevamo incamminare.


Si, non ho difficoltà nel convenire che è stata certamente una “paraculata”, per usare il consueto amabile idioma di chi recentemente ha già affrontato la questione meridionale in un’affollata conferenza stampa, quella che Cavour abilmente suggerì a Vittorio Emanuele II, che in poco tempo trasformò un Regno in una colonia. Ma è successo. E prima ce ne faremo una ragione e meglio sarà per tutti. 
Del resto, l’Italia unita, nei fatti, non si stabilì come leggiamo sui testi di storia nel 1861, ma solo numerosi anni dopo, quando nelle trincee del fronte, durante la prima guerra mondiale, morivano ragazzi che parlavano il dialetto siciliano, calabrese, napoletano, ma anche lombardo o piemontese. Uniti sotto la stessa unica bandiera.

Perciò, credo, che bisogna fare tutti, complessivamente, un bel passo in avanti. Come dire, un bel “colpo di reni” culturale, qualcosa che ci porti a pensare, una volta e per sempre, che se le cose alle nostre latitudini non girano come dovrebbero, forse non è solo colpa degli altri o, peggio ancora, della sfortuna. Spesso, è proprio colpa nostra. Perché, comunque la si pensi, io continuo a credere che la vera rivoluzione è fare bene il proprio lavoro, senza considerare cosa economicamente ci torna indietro (altrimenti un ricercatore o un agente di pubblica sicurezza cosa dovrebbero dire). Forse proprio questo, un giorno restituirà alla nostra città quella dignità e quella voglia di farcela, insieme agli altri. Con gli altri. È un po’ come dire “spalla a spalla”.

Francesco Ciaramella (nella foto una scena del film “Il resto di niente” diretto da Antonietta De Lillo)

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