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Napoli-Lazio, la vendetta servita fredda in quel maggio del 73

Napoli-Lazio, la vendetta servita fredda in quel maggio del 73

Campionato 1972-3. Anche allora era fine maggio, anche allora era l’ultima giornata di campionato, anche allora si giocava a Fuorigrotta ed anche allora la posta in palio era altissima. Il Ciuccio non vede l’ora di chiudere un torneo di anonimo centro classifica mentre la Lazio si gioca lo scudetto, è un testa a testa con la Juventus ed il Milan. Addirittura si profila uno spareggio a tre visto che alla vigilia i rossoneri hanno 44 punti, i Gobbi bianconeri e i laziali ne hanno 43. Tutti attaccati alle radioline, un silenzio irreale fendeva l’aria dei bar, delle case, dei circoli sportivi di quella domenica. Prime t-shirts e primi gelati, la scuola sta per finire, che bello. “La Stock di Trieste vi invita all’ascolto di….” era la dolce litania delle nostre giornate di festa, della penna che cancellava ogni cambio di risultato sulle schedine del Totocalcio, del calcio romantico che fu. Del calcio della contemporaneità delle partite. Faceva caldo e c’era aria di fine stagione ma quella volta tre squadre potevano vincere lo scudetto. A dieci minuti dalla fine delle partite “Tutto il calcio minuto per minuto” sembrò impazzire, Ciotti da Roma e Ameri dal Bentegodi si passarono la linea ininterrottamente mentre ogni tanto interveniva Giacoia dal San Paolo con i continui rumori di sottofondo provenienti dagli applausi e dagli incitamenti del pubblico di Napoli. Il Milan era già “groggy” dal primo tempo, i bianconeri pareggiavano all’Olimpico con la Roma e a Napoli si era sullo 0 a 0 con 10mila tifosi laziali che urlavano in attesa di buone notizie e di una probabile invasione di campo per festeggiare il titolo di Campioni d’Italia. All’80esimo, dunque, l’aritmetica disse: spareggio a tre! Eppure sappiamo tutti come andò a finire, la “fatal Verona” demolì la squadra di Rivera con un 5 a 3 storico per i gialloblu, la Juventus andò a vincere all’ultimo respiro all’Olimpico (che le valse lo scudetto) e la Lazio incontrò il Napoli più forte del campionato, motivatissimo e vendicativo come non mai.

La storia di Napoli-Lazio dice, dunque, di una cruenta rivalità nata in campo tra i ventidue protagonisti anche se, e non vogliamo fare gli avvocati del diavolo, la scintilla la accesero i laziali nella gara d’andata. È la Lazio che l’anno dopo vincerà il suo storico scudetto ed è la squadra capitolina a cui Guy Chiappaventi ha dedicato “Pistole e palloni”, un bellissimo libro di colore, di calcio d’epoca, di “cameratismo” tra compagni di squadra. Ebbene quel team fece storia, come accade quando si vince uno scudetto ogni tot di anni, perché i suoi giocatori erano ‘pazzi, selvaggi e sentimentali’ tanto per dirne una. Paracadutisti, giocatori d’azzardo, pistoleri, missini, egoisti, ballerini di night club, divisi tra clan ma uniti più che mai in campo. Erano capaci di darsela di santa ragione in allenamento, prendersi a schiaffi e pugni per vincere la partitella del giovedì ma la domenica in campo erano tutti per uno e uno per tutti. Era la squadra del povero Re Cecconi, del papà di Frustalupi, del fanatico Chinaglia, del capobanda Wilson, del “golden boy” D’Amico, del “destrorso” Martini, di Garlaschelli, Nanni, Petrelli, Pulici, Oddi, ma soprattutto di Tommaso Maestelli, un allenatore che ha lasciato il segno in tutto il calcio italiano per quanto è stato innovatore e “amico” dei giocatori, quasi un papà. Ebbene quella Lazio, forte, determinata, convinta di vincere il tricolore, all’andata ne aveva dati tre al Napoli all’Olimpico con l’ex Manservisi, Nanni e “Long John” Chinaglia. Carmignani si era piegato tre volte nella sua porta per raccogliere il pallone che i biancocelesti avevano scagliato alle sue spalle. Tre reti in una sola partita, eppure alla fine del campionato il Napoli, con soli 20 reti subite, risultò la seconda miglior difesa italiana con ‘Gedeone’ in porta, Bruscolotti a destra e Rimbano a sinistra, Zurlini libero saracinesca e Vavassori a mordere le caviglie dei centravanti avversari. La cosa è ancora più sorprendente se si pensa che il Napoli finì nono e il suo attacco, con 18 reti all’attivo, fu uno dei peggiori della serie A. Gli azzurri segnarono un solo gol in trasferta, alla penultima giornata a Genova con la Sampdoria ( autore l’oggetto misterioso Ferradini ) e furono capaci di pareggiare per 14 volte per 0 a 0 su 30 gare. Chiappella, al suo canto del cigno, aveva impostato una squadra sul ‘primo non prenderle’ ed i fatti gli diedero ragione ma immaginate i tifosi di quell’epoca. Avere un capocannoniere come Damiani con sole 6 reti non doveva essere il massimo della prolificità.

Ebbene, anche a fronte di questa spropositata differenza di valori quel Napoli, all’ultima giornata di campionato, 20 maggio 1973, si vendicò con gli interessi di quanto subito all’andata e soprattutto degli sberleffi che dovette ‘sopportare’ quando Chinaglia e l’ambiente laziale ci augurarono la serie B prendendoci in giro alla fine della gara di Roma. Ma la vendetta è ancora oggi un piatto che, se servito freddo, ha più sapore e gusto. E gli azzurri non dimenticarono quanto era successo all’Olimpico, né le parole dei laziali che in campo ne dissero di tutti i colori, con insulti gratuiti, ai malcapitati azzurri. Così al ritorno i biancocelesti, con la coscienza un po’ sporca per quanto avevano fatto alla fine della gara di Roma, fecero profferte di pace e lanciarono messaggi benevoli agli azzurri. D’altronde c’era in ballo il loro primo scudetto, mica bruscolini. Oggi le immagini di quella gara si possono ancora vedere in rete e certamente le infamanti accuse fatte ad alcuni azzurri di “essere stati avvicinati dalla Juve” per battere la Lazio sono infondate. Il Napoli scese in campo con undici belve assatanate, come caimani con le zanne scoperte e la bava alla bocca, i laziali videro passare solo sorci verdi. Gli azzurri vollero vincere a tutti i costi perché dovevano togliersi l’onta della sconfitta da dosso e lo fecero con una gara magistrale. La superiorità degli azzurri, determinatissimi, fu schiacciante, la Lazio fu chiusa nel suo bunker e non uscì che poche volte dall’ area. Con un inedito Canè col numero 9, il Napoli sbloccò la partita a due minuti dalla fine con “Flipper” Damiani che, nel precedente calcio mercato, era rientrato nell’affare che aveva portato Zoff e Altafini alla Juventus. Col suo gol impertinente, accolto da un boato come se ne sentirono pochi in quella stagione, la riccioluta ala destra condannò la Lazio al terzo posto e provocò la rabbia di Chinaglia che uscendo dal campo fece un brutto gesto alla curva azzurra. Quando poi ‘Oscar’ Damiani, da Brescia, rientrò in azzurro nel 1979, tutti gli chiedevano ancora di quel famoso goal alla Lazio. E lui, con la sua caratteristica “erre” moscia, non faceva che sorridere beffardamente ricordando quella storica partita. Chissà se oggi, da affermato procuratore di calciatori, pensa ancora a quella rete. A quel tremendo fragore del S. Paolo. A quella vendetta servita fredda nella porta laziale.
Davide Morgera (Dall’alto, Chinaglia guardato a vista da Vavassori nella gara del 1973 a Napoli, Rimbano e infine Damiani con Vavassori e Bruscolotti in azione – Archivio Morgera)

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