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Benitez mi ricorda Steve Jobs che nel 1985 venne cacciato dalla Apple

Benitez mi ricorda Steve Jobs che nel 1985 venne cacciato dalla Apple

Ombre fosche e cupe aleggiano sul Calcio Napoli negli ultimi giorni, 4 punti in 5 partite, 3 sconfitte nelle ultime tre trasferte, terzo posto in discussione. Tutto ciò nonostante un armamentario niente male lì davanti, ma un equilibrio difensivo tutt’altro che invidiabile: con 11 partite di campionato ancora da disputare siamo a 4 gol subiti in meno rispetto allo score finale della passata stagione. Poco conta se giovedì andiamo a Mosca in vantaggio di due gol, se ad inizio aprile ci giocheremo la semifinale di Coppa Italia contro la Lazio partendo da un favorevole pareggio 1-1 fuori casa (checché ne dica Tardelli), e che la matematica non ci relega a una posizione stantìa in campionato. Ma tant’è, noi siamo il popolo dell’here and now, ora e qui, tutto e subito. 

Da due anni a questa parte in ogni singolo momento di flusso negativo, l’indiziato numero uno è e rimane Rafa Benitez, che alla serie di offese da “fuoco amico” (pachialone, chiattone, cantiniere) domenica ha guadagnato anche il “ciccione” da parte dei simpatici e rubicondi scaligeri.

Una vena di indignazione sarebbe d’obbligo: chiamare “ciccione” una persona è gravemente diffamatorio, conta come terrone o polentone, è discriminatorio. Che la presa in giro venga da un nemico, un avversario, un contendente, ci può pure stare, ma io impazzisco quando il nomignolo te lo affibbia il tuo vicino, il tuo amico, il tuo sostenitore: alla stregua del fuoco amico di militare circostanza.

Don Rafé mi ricorda lo Steve Jobs che nell’aprile del 1985 fu esautorato da molti dei suoi poteri e cariche, attribuendogli responsabilità solo parzialmente sue e che – alla fine – lo portarono all’allontanamento dall’Azienda che egli stesso aveva creato. Salvo poi ritornarci – richiamato come salvatore della patria – nel 1997, riportando la sua creatura a livelli tali che ora la rendono la multinazionale più ricca del mondo. Jobs ebbe esperienze proficue nel periodo in cui non lavorò per Apple, anni in cui creò la NexT e acquisì la Pixar, per esempio: insomma non stette proprio con le mani in mano, ma mieté ulteriori successi e soddisfazioni.

Il mio timore è che il fuoco amico, il fuoco di chi gli contesta persino il masticare la caramella durante le partite (sic!), di chi espone gli striscioni “al di là del risultato”, di chi si indigna per gli inni al Vesuvio e non per gli improperi a Insigne e Don Rafé, lo abbia debilitato ma non ancora ucciso. Indebolito a tal punto da aver già deciso il suo futuro, e da giugno lo vedremo raccogliere soddisfazioni altrove. Purtroppo il Napoli non è la Apple e non credo che Rafa ritornerà in un futuro o sarà richiamato a risollevare chissà quale situazione. Il manager che aveva creato la sua creatura, una squadra che dopo anni gioca un calcio piacevole, scopritore di talenti nascosti o quasi (eh, gli scarti del Real!), viene messo alla gogna mediatica (e non) da un pubblico esigente, e cioè che esige solo vittorie, indistintamente e contro tutti: dal Barcellona al Gela, tutti devono pagare dazio al grande Napoli! Questa impazienza nel giungere all’obiettivo, l’irruenza tipica di chi pecca in programmazione e lunghe vedute saranno la rovina di questa esperienza e determineranno la fine di un ciclo che è, con buona pace dei detrattori, vincente: due coppe in sei mesi non sono state regalate da avversari generosi. Ad ogni record infranto si alza l’asticella, e non ci pare corretto.

«Il Napoli è condannato a vincere lo scudetto (prima o poi)», dice Sconcerti. Condivido, anche io lo vorrei, ma sono necessari tempo, metodo e genio: quello che sembra non essere concesso al nostro manager, salvo rivalse. Purtroppo nel calcio le rivincite sono solo sul campo, e un giorno potremmo incontrare Rafa su una panchina avversaria: allora capiremo il suo peso. E non mi riferisco alle rotondità fisiche.
Marco Fava

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